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Tumore a causa del fumo passivo in ufficio: Poste Italiane deve risarcire lavoratore

La società dovrà risarcire di 174mila euro un lavoratore che si è ammalato di cancro alla laringe dopo aver convissuto per 14 anni in un ufficio pieno di colleghi che fumavano.
A cura di Davide Falcioni
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Per oltre 14 anni è stato costretto a condividere l'ufficio con colleghi accaniti fumatori: alla fine un impiegato siciliano di Poste Italiane si è ammalato di cancro alla faringe, patologia che secondo i medici è stata causata proprio dall'esposizione al fumo passivo nel luogo di lavoro. Il dipendente, che oggi è un pensionato novantenne, secondo la Corte di Cassazione ha ora diritto a un risarcimento di 174mila euro.

La Cassazione ha respinto il ricorso presentato da Poste Italiane contro una sentenza emessa nel 2014 da parte della Corte di Appello di Messina che, a sua volta, confermava il pronunciamento in primo grado del Tribunale della città siciliana. In quell'occasione i giudici avevano accolto la richiesta di risarcimento da parte del pensionato, che dopo 14 anni passati in un ufficio senza sufficiente ricambio d'aria e circondato da accaniti fumatori aveva contratto un tumore faringeo, diagnosticato dopo aver smesso di lavorare. Quel cancro, rimosso chirurgicamente, aveva causato all'uomo un’invalidità permanente del 40 per cento. Pur non essendo mai stato fumatore, il lavoratore ha riportato danni alle corde vocali, ha perso tutti i denti e oggi fa fatica a ingerire cibi, tanto da essere costretto a un’alimentazione per lo più liquida.

Al risarcimento si era opposta Poste Italiane, ma la Cassazione ha ora confermato che l’iter seguito dal tribunale in primo grado è stato “assolutamente articolato e coerente sulla questione dedotta in lite”. “La Corte di merito – si legge nella sentenza – facendo richiamo agli esiti degli espletati accertamenti medico-legali, ha reso una motivazione congrua e completa, che rende ragione della eziologia professionale della patologia contratta dal lavoratore e si sottrae, pertanto, alle censure all’esame”. Per i giudici quello espresso da Poste italiane è un “mero dissenso in relazione alla diagnosi operata dal consulente tecnico d’ufficio, cui la Corte di merito ha prestato adesione”, mentre le censure della società sono “del tutto generiche, in particolare, quelle espresse in ordine alle carenze della valutazione medico-legale operata dall’ausiliare di secondo grado per quanto riguarda la gravità e il carattere invalidante del quadro patologico riscontrato a carico dell’interessato”. Da qui la conferma della condanna al risarcimento del danno.

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