
Piera, Elena e Mary, sono solo le ultime donne uccise dai loro partner, uomini che dopo aver commesso il femminicidio hanno scelto di farla finita (o ci hanno provato).
Diverse le modalità con le quali queste donne sono state uccise, diverse le fasi relazionali in cui la coppia si trovava quando è stato compiuto il femminicidio-suicidio, diverse le condizioni socio economiche e i contesti territoriali, diverse le età, resta identica la matrice. La motivazione che sottende questi gesti e che nulla ha a che fare con la pietà, il raptus, la disperazione, la gelosia o quanto altro di emotivamente romantico possa venirci in mente.
Se la dinamica omicidio-suicidio (femminicidio nel caso specifico) è presente soprattutto nei casi di crimini commessi all’interno dei rapporti di intimità, non si può sottovalutare come tale gesto sia portatore di un significato legato alla scelta di imporre la propria volontà all’altra anche attraverso la morte.
Maturare la scelta di uccidere, prima di togliersi la vita, implica sempre il sentirsi in diritto di poter disporre della vita e della morte dell’altra, di poter dominare le sue scelte, la sua volontà, di rivendicare il potere di poterla prevaricare finanche togliendole la vita. Implica necessariamente la percezione dell’altra non come soggetto autonomo, ma come oggetto di cui poter disporre.
In criminologia i casi di femminicidio-suicidio vengono distinti tra i così detti casi di “omicidio esteso” o di “suicidio esteso”.
La prima definizione riguarda quei casi in cui l’uomo commette il femminicidio, poi, successivamente, per ragioni che possono variare di situazione in situazione, sceglie di togliersi la vita, o tenta di farlo. In questa ultima circostanza è sempre opportuno, anche ai fini processuali, valutare se il tentativo di suicidio sia stato effettivo o strumentale. Ovvero se l’uomo abbia effettivamente tentato di porre in essere un atto anticonservativo o se invece attraverso quell’agito abbia tentato di deresponsabilizzarsi o rientri nel tentativo di fornire una ricostruzione alterata dei fatti.
I “suicidi estesi”, molto più diffusi nei crimini di genere e che spesso comportano anche i figlicidi, sono caratterizzati da un alto grado di premeditazione. Solitamente infatti l’uomo, spesso a fronte di un’incapacità di gestire la frustrazione legata alla fine non condivisa della relazione (o alla manifestata volontà della donna di interrompere la relazione) decide di togliersi la vita, ma prima di farlo, uccide la partner, impedendole in questo modo, di avere una vita propria, senza di lui. Impedendole di autodeterminarsi, di poter scegliere appunto.
Sono questi i casi in cui magari l’uomo attira la donna a un “ultimo appuntamento” chiarificatore con una scusa, appuntamento a cui si presenta con un’arma, la stessa con la quale magari si toglierà poi la vita. O i casi in cui, in fase di indagine, emergeranno una serie di azioni preparatorie poste in essere nei giorni che hanno preceduto il femminicidio-suicidio. Sono purtroppo numerosissimi i casi di cronaca in cui, in questi suicidi estesi, vengono uccisi anche i figli o le figlie, considerati anch’essi, come oggetti di proprietà. Basti ricordare Alessia e Martina, uccise dal padre dopo che lo stesso aveva sparato alla sua ex moglie Antonietta, sopravvissuta solo per miracolo, per poi togliersi la vita.
Va detto che, in entrambi i casi, sempre, analizzando le dinamiche di relazione interne alla coppia è possibile individuare fattori predittivi di quanto sarebbe accaduto.
Un femminicidio motivato dalla volontà di controllo dell’altra, fino all’atto estremo della morte, è sempre infatti preceduto da agiti di violenza che sottendevano lo stesso scopo. Parliamo di azioni che possono essere più o meno esplicite, dalla violenza fisica, alla violenza psicologica, emotiva o anche economica, azioni di prevaricazioni che hanno come unica finalità quella di porre la partner in uno stato di vulnerabilità tale da renderle difficile ogni tentativo di emancipazione dalla relazione maltrattante. I comportamenti controllanti posti in essere nel corso della relazione sono infatti tra i fattori predisponenti la violenza separativa o post separativa, finanche letale. Il livello di controllo esercitato dal partner è tra tutti, il predittore più forte, sia durante la relazione che dopo.
