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Strage migranti Crotone, Save the Children: “Dramma minori, hanno visto corpi scomparire tra le onde”

Nella strage di migranti a Crotone molti sono minori: almeno 14 vittime avevano meno di 18 anni, tanti anche i superstiti. Provenivano da 3 dei 10 paesi peggiori al mondo in cui vivere per i bambini. Giovanna Di Benedetto (Save The Children) a Fanpage.it: “Stato di grandissima sofferenza emotiva. Tornino al centro delle decisioni politiche le persone e i loro diritti”.
Intervista a Giovanna Di Benedetto
media officer e portavoce di Save The Children Italia. 
A cura di Ida Artiaco
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Quella che si è verificata al largo di Crotone, dove nella notte tra sabato e domenica scorsi un barcone carico di migranti si è spezzato in due a causa della forza del mare provocando la morte di 64 persone, secondo l'ultimo bilancio ufficiale, è stata anche e soprattutto una strage di minori.

Tra le vittime accertate, almeno 14 avevano meno di 18 anni. Molti altri, che sono sopravvissuti sono stati trasferiti al Cara di Crotone, ma i numeri disponibili sono solo provvisori. Arrivavano, insieme alle loro famiglie, da Afghanistan, Somalia e Siria.

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Si tratta di tre dei 10 Paesi peggiori al mondo in cui vivere per i bambini, secondo quanto è emerso dal rapporto The forgotten ones, diffuso oggi da Save The Children, nell'ambito della campagna Bambini sotto attacco, che denuncia il drammatico impatto fisico e psicologico della guerra sui bambini e le gravi conseguenze sulla loro crescita.

Proprio l’Organizzazione che da oltre 100 anni lotta per salvare le bambine e i bambini a rischio e garantire loro un futuro, opera con un team in Calabria, in collaborazione con Unicef, dove da circa un anno si sono intensificati gli sbarchi. E oggi, è presente al Cara di Crotone dove sono stati trasferiti i superstiti del naufragio di Cutro. Fanpage.it ha parlato con Giovanna Di Benedetto, media officer e portavoce di Save The Children Italia.

Che situazione avete trovato a Crotone?

"Io mi trovo dentro al Cara. Tra i superstiti ci sono molti bambini, ma il bilancio è provvisorio, non abbiamo ancora numeri precisi. Ci hanno raccontato di scene strazianti, del momento in cui sono caduti tutti in acqua. Si tratta per la maggior parte di nuclei familiari e ognuno di loro ha perso qualcuno tra i propri cari in questo naufragio.

Sono in uno stato di grandissima sofferenza emotiva. Save The Children ha un team qui in Calabria rafforzato lo scorso anno in partnership con Unicef in considerazione dell'aumento dei flussi migratori nella regione. Siamo subito intervenuti, e raccolto testimonianze di persone disperate perché hanno provato a salvare i propri cari ma non ci sono riusciti. C'è tanto dolore: non solo loro stessi hanno vissuto il naufragio ma hanno visto letteralmente sparire altri tra le onde, alcuni hanno dovuto trascinare a riva corpi senza vita".

Cosa succede ora ai minori che sono sopravvissuti?

"Qui al cara di Crotone ci sono circa una sessantina di superstiti, un'altra ventina sono ricoverati. I minori sopravvissuti hanno quasi tutti parenti in vita per cui non sono considerati minori non accompagnati ma seguiranno l'iter previsto per i nuclei familiari".

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Molti arrivano da Paesi che secondo il vostro rapporto sono i peggiori in cui vivere…

"Le persone che abbiamo incontrato, non solo in questi giorni ma direi in questi anni, fuggono da gravi crisi umanitarie, che possono essere determinate da guerre, conflitti, regimi totalitari o catastrofi naturali. Si lasciano alle spalle situazioni terribili, a cui non vedono una speranza di sopravvivenza. Per questo decidono di rischiare la propria vita e anche quella dei propri figli in mare, perché vedono l'unica possibilità di futuro sereno in Europa".

Secondo lei, di chi è la responsabilità di quanto successo?

"Da anni le politiche europee di chiusura dei confini, restrizioni e respingimenti cercano di non far arrivare i migranti a destinazione. Ma questo non li scoraggia dal partire, anzi.  Questa gente fugge da guerre, povertà estrema, catastrofi naturali, siccità. Quello che lasciano alle spalle è terribile. Ciò che non li scoraggia aumenta i rischi per la loro vita.

Così come il limitare le attività di ricerca e soccorso nel Mediterraneo mette ulteriormente a rischio la loro vita. Quello che chiediamo da anni è una assunzione di responsabilità condivisa e individuale dell'Italia, degli Stati Membri e delle istituzioni per un meccanismo coordinato di ricerca e soccorso per salvare queste persone e per garantire vie legali e sicure d'accesso all'Europa. Sono proprio le politiche di chiusura a rappresentare il maggior rischio per coloro che si mettono in viaggio".

Crede che si potesse evitare in qualche modo questa ennesima tragedia?

"Sarà la magistratura a verificare se ci siano stati ritardi nei soccorsi o comunque a rispondere a questa domanda. In linea generale credo che se ci fosse la possibilità di un meccanismo di ricerca e intervento, queste persone sarebbero state soccorse prima e probabilmente non si sarebbero incagliate. È fondamentale non ostacolare anche navi private, come quelle delle Ong, che si occupano di ricerca e soccorso: devono tornare al centro delle decisioni politiche le persone e i loro diritti".

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