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Strage di Capaci, la lettera di Matilde Montinaro al fratello Antonio, il caposcorta di Falcone

A 28 anni dalla strage di Capaci, Matilde Montinaro scrive una lettera al fratello Antonio, che a soli 29 anni era già un poliziotto importante, a capo della scorta del magistrato Giovanni Falcone: “Quei 600 kg di tritolo, esplosi sotto l’autostrada che collega Punta Raisi a Palermo e che tu, Rocco, Vito, il dott. Falcone e la dott.ssa Morvillo, percorrevate, sono entrati violentemente in casa nostra e da allora niente, dico niente, è stato più come prima”.
A cura di Giorgio Scura
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23 maggio 1992 – 23 maggio 2020

"Caro Antonio, questa sera sento il bisogno di dirti parole che vorrei fossero nuove, ma so per certo di non dirti nulla che tu non sappia già! Sarà una sorpresa per te ascoltare queste mie righe, scritte in una fresca serata di silenzio di un periodo di emergenza sanitaria, inattesa e drammatica, che ha costretto tutti noi a fermarci, che ha ridotto il nostro spazio di movimento e di azione e ci ha obbligato a vivere uno stile di vita nuovo.

Ho riaperto un cassetto, uno di quelli che si tiene chiusi per anni. Sai, ho sempre creduto che tra le cose più belle della nostra vita ci siano i ricordi, credo siano persino più belli dei sogni, perché nei ricordi resistono frammenti di realtà. Certo, i ricordi possono essere neri, tristi, ma senza di essi non siamo nulla e a volte possono diventare per noi un regalo da aprire quando desideriamo riempirci di gioia.

È una sera senza luna questa, c’è una nuvola che disegna strane figure nel cielo scuro, ed io con in mano vecchi giornali e qualche foto riavvolgo il nastro della nostra vita. Il mio pensiero va a quando da bambini quei disegni ci portavano a immaginare di affrontare belve strane e sconosciute e tu t’imponevi il coraggio di combattere battaglie per liberare il mondo. Quelle belve che da bambini immaginavamo, poi hanno preso corpo e tu hai dovuto affrontarle davvero un giorno di maggio.

“Fiore di maggio" cantava una delle tue canzoni preferite e a noi, da bambini, in un’infanzia semplice, ma piena di vita, quel mese, forse per il risveglio completo della natura che vivevamo spensierati nel nostro giardino, ci trasmetteva forti emozioni. Mai, e dico mai, avrei immaginato, che col tempo, questo mese avrebbe assunto un “colore" diverso e che quelle emozioni avrebbero lasciato il posto alla tristezza, al dolore alla rabbia.Il 23 maggio del ‘92 caro, Antonio, ha cambiato la vita e, forse, anche la storia di questo Paese.La strage di Capaci. È così, sai, che è passata alla storia. Ha fatto capire anche ai più riottosi sostenitori della tesi avversa che la mafia esisteva, era pericolosamente attiva e viveva di collusioni, omicidi, stragi e di un rapporto con una politica corrotta che le aveva permesso di sopravvivere, anzi prosperare, in 50 anni di Repubblica.

Quei 600kg di tritolo, esplosi sotto l’autostrada che collega Punta Raisi a Palermo e che tu, Rocco, Vito, il dott. Falcone e la dott.ssa Morvillo, percorrevate, sono entrati violentemente in casa nostra e da allora niente, dico niente, è stato più come prima.

Osservando nostra madre negli anni in cui è sopravvissuta alla tua assenza, ho capito che il dolore straziante non ha data di scadenza: quel dolore ha continuato a scavarle dentro, diventando nel tempo suo compagno di vita. Quello che abbiamo vissuto è stato un momento fortissimo, ma, nonostante ciò, abbiamo cercato ogni giorno di onorare il tuo coraggio provando anche a farlo nostro conservando la memoria di quella tragedia. E lo facciamo ogni giorno, prendendoci cura del tuo ricordo, cercando di essere la tua voce, riportando al cuore di tanti la tua storia, che racconta di violenza ma che ci restituisce anche la speranza, il bisogno di pace, di democrazia e di giustizia.

La tua, Antonio, è la storia di un giovane del sud della Puglia che ha vissuto i sogni, le speranze, le preoccupazioni e i dubbi della sua età. È la vita di un ragazzino con una inconsapevole “profondità", ritrovata poi, in una professione che hai vissuto con autentica Etica, diventando “eroe" tuo malgrado. La tua una scelta che ti è costata la vita ma che non ha tradito il tuo senso del dovere. Senso del dovere che non ha ceduto il passo nemmeno di fronte alla paura di morire, senso del dovere che trapela ancora oggi in una tua intervista che io considero il tuo testamento morale: “Chiunque fa questa attività, – dicevi- ha la capacità di scegliere tra la paura e la vigliaccheria. La paura è qualcosa che tutti abbiamo: chi ha paura sogna, chi ha paura ama, chi ha paura piange. È la vigliaccheria che non si capisce e non deve rientrare nell’ottica umana […]".

Oggi avresti 58 anni e, per i tanti ragazzi che ti hanno conosciuto attraverso i nostri racconti, sei come un papà: pensa che molti di loro hanno cominciato a “camminare"a partire da un’emozione accesa in loro dalla tua storia. Il tuo sogno, quello di Antonio Montinaro, è diventato per loro impegno, memoria operante per costruire una società migliore. Quello che è successo appartiene ormai alla storia di questo nostro Paese e, se mi soffermo un attimo a riflettere, mi rendo conto che sono passati 28 anni, ma la tua immagine per me è ferma lì, a quell’età in cui la tua vita è stata spezzata, a 29 anni. Ma io so, che, nonostante la tua breve esistenza, è come se tu avessi vissuto tante vite. I tuoi anni sono valsi almeno il doppio o il triplo, e allora mi piace immaginarci, oggi “diversamente giovani", come direbbero i nostri figli, seduti qui a guardare, in una serata silenziosa senza luna, una nuvola che disegna strane figure nel cielo scuro. E tu a raccontare di te, con la tua ironia e la tua chiacchiera, e io a dirti come quando eravamo ragazzi: “Antonio, statti zitto un pochino… riposati, fumati una sigaretta". E pensare, però, in quello stesso istante, che essere tua sorella è stata sempre una sfida difficile, ma anche un orgoglio e un onore che mi ha portato a fare del tuo esempio il mio impegno.

Ciao Antonio.

Matilde Montinaro"

A seguire, l'intervento della vicepresidente nazionale di Libera, Daniela Marcone.

Ho conosciuto Antonio attraverso il racconto della loro infanzia e adolescenza condiviso da sua sorella Matilde, Tilde per parenti e amici. Eravamo in cerchio, tutti familiari di vittime delle mafie pugliesi. Guardavo Tilde e ascoltavo le parole da lei scelte con cura e amore, lo sguardo grave ma vitale, e parola dopo parola iniziai a vedere Antonio che correva libero da bambino e poi ragazzo, che sceglieva di entrare nella Polizia di Stato, che si innamorava della sua Tina e poi aveva due splendidi bimbi. Ma dentro di me sentivo che il racconto sarebbe terminato in quella maledetta esplosione, una quantità impressionante di esplosivo che avrebbe spazzato via vite e speranze. Conoscevo bene, nei dettagli, quanto era accaduto il 23 maggio del 1992 a Capaci, vicino Palermo: ricordo ancora che quella sera i tg nazionali trasmisero le immagini della devastazione causata dalla violenza mafiosa ai danni del giudice Giovanni Falcone, di sua moglie Francesca Morvillo e delle persone che lo proteggevano, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani. Non sapevo che Antonio e Rocco erano figli di Puglia, nati nella regione dove sono nata io. Il servizio del tg lo guardai con mio padre Francesco Marcone, Franco per tutti noi. Mi guardò sconvolto, negli occhi la consapevolezza che lui adulto avvertiva in modo profondo, di quanto quella violenza non fosse poi così lontana da casa nostra. A me, invece, parve che quella scena di guerra appartenesse ad un mondo lontano, causata da un fenomeno, la mafia, che da noi non c'era. Quanto mi sbagliavo, mi sentivo al sicuro ma non lo ero. Papà ci ha protetti trasmettendoci fiducia nella vita e nelle persone, fino al giorno in cui fu ucciso, il 31 marzo del 1995, meno di 3 anni dopo la strage di Capaci. La sua è una storia diversa ma la devastazione entrò nella nostra casa e, anni dopo, il dolore profondo scaturito da quanto era accaduto alla mia famiglia, mi fece comprendere quanto esprimeva Tilde, con il suo racconto di vita realmente vissuta. Era accaduto davvero, le persone uccise a Capaci il 23 maggio del 1992 erano state spazzate via senza alcuna pietà, da persone che hanno scelto di condannare a morte, una morte terribile, altre persone. Il senso della tragedia che quell'evento, come quello successivo accaduto il 19 luglio dello stesso anno ai danni di un altro giudice e delle persone che gli facevano da scorta, era schiacciante e rischiava realmente di paralizzare la reazione della gente comune, impaurita e senza parole. Poi, nello stesso anno in cui morì mio padre, il 1995, nacque Libera, una realtà che metteva in rete tante altre realtà e singoli, per costruire insieme una reazione comune alle mafie, una resistenza che si fondava proprio sulle vite spezzate delle vittime innocenti delle mafie. Quell'incontro tra familiari di vittime era stato organizzato, qualche anno dopo, proprio da persone della rete di Libera, di cui facevo parte anche io. E le parole di Tilde, cui seguirono le nostre, il bisogno comune di raccontare i nostri cari, ci permisero di riconciliarci con il senso di condivisione umana che la violenza entrata nelle nostre vite rischiava di cancellare per sempre, facedoci sentire soli con il nostro dolore.

Anche oggi, dopo 28 anni da quel 23 maggio del 1992, la costruzione di una memoria collettiva su quanto accaduto a Capaci, ad Antonio e Rocco, a Giovanni e Francesca e a Vito, alle persone sopravvissute da quella strage che ancora oggi convivono con i danni visibili e invisibili, è il filo conduttore di un impegno comune contro tutte le mafie, contro la corruzione ad esse legata. E' la nostra identità, di cui dobbiamo continuare a prenderci cura, oggi più che mai, nelle nostre comunità che vengono fuori, piano piano, dall'emergenza sanitaria, con più fragilità di prima e un bisogno di fare memoria anche di quanto accaduto alle vittime del virus.

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