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Covid 19

Se abortire era difficile, all’epoca del coronavirus in alcune città è praticamente impossibile

Cosa deve affrontare una donna che vuole abortire durante l’emergenza coronavirus? Tra consultori chiusi, medici di base obiettori di coscienza, aborto farmacologico non garantito e telefoni che squillano a vuoto, interrompere una gravidanza è diventata una vera e propria odissea. Con conseguenze psicologiche devastanti.
A cura di Natascia Grbic
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"Il nostro telefono squilla in continuazione. Dall'inizio dell'emergenza abbiamo ricevuto centinaia di richieste di aiuto da parte di donne che non sanno a chi rivolgersi. In molte regioni i consultori sono chiusi, tanti medici di base sono obiettori di coscienza e si rifiutano di indirizzarle a qualcuno per l'Ivg (interruzione volontaria di gravidanza, N.d.R.). Interi reparti sono stati trasferiti, molti medici non obiettori sono ammalati o costretti alla quarantena. I centralini degli ospedali rispondono con sufficienza: ‘e che fai, ti metti ad abortire in piena emergenza coronavirus?‘. Il risultato è che molte donne non riescono ad accedere al servizio. E nessuno si preoccupa di aiutarle". A parlare a Fanpage.it è Eleonora Mizzoni, una delle fondatrici di ‘Obiezione respinta', piattaforma nata con lo scopo di segnalare e mappare i luoghi dove viene esercitata l'obiezione di coscienza, e quelli in cui invece si può trovare aiuto e supporto. Se interrompere una gravidanza in Italia non è mai stato facile, con la pandemia in corso sta diventando praticamente impossibile: in molti ospedali l'aborto farmacologico è stato sospeso, quello chirurgico non sempre è garantito. E questo sta portando a un sovraccarico del sistema. Soprattutto in Nord Italia, dove gli ospedali sono al collasso per la pandemia.

"La pandemia ha fatto esplodere le contraddizioni che ci sono rispetto all'Ivg – spiega Eleonora – Paradossalmente è stato sospeso l'aborto farmacologico e non il chirurgico, perché per il primo si richiedono tre giorni di ricovero, il secondo si fa in Day Hospital". La pillola Ru486 è stata introdotta in Italia nel 2009 non dopo accese polemiche e battaglie politiche. Il suo uso è però ancora fortemente ostracizzato: basti pensare che in Finlandia il 97% degli aborti avvengono farmacologicamente, così come in Svezia (93%) e Francia (67%). In Italia la percentuale è attualmente al 17,8%. "In paesi come l'Inghilterra, dove il farmacologico è deospedalizzato, la situazione non è così al limite. Qui invece ci sono intere province dove da settimane non è possibile abortire". In Italia pesa anche l'alta percentuale dell'obiezione di coscienza: secondo una relazione diffusa dal Ministero della Salute nel 2018, i ginecologi che rifiutano di supportare l'Ivg sono il 68,4%. Gli anestesisti il 45,6%, mentre il personale non medico il 38,9%.

Per aiutare le donne che si trovano in difficoltà, le attiviste di ‘Obiezione respinta' e ‘IVG – Ho abortito e sto benissimo', hanno attivato un servizio di supporto. In cui non solo le donne sono indirizzate presso medici e strutture, ma viene fornito loro anche sostegno psicologico. "L'interruzione di gravidanza non è considerata come un'attività essenziale – continua Eleonora – Anche per come è stato scritto il decreto, non è chiaro se sia un'operazione medica urgente, perché si ha un tot di tempo per farla. E se si hanno ancora dieci settimane davanti in cui è possibile abortire, ti dicono di aspettare e lasciare posto ai malati di coronavirus. Come se portare avanti una gravidanza indesiderata non sia un'esperienza traumatica. Il corpo cambia, si hanno le nausee. Il non prendere minimamente in considerazione la questione, dà la cifra di come non venga ancora data dignità a chi decide di abortire".

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