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Ridotto in carrozzina dal carcere: “Ho perso l’uso delle gambe perché non mi hanno curato”

Dino Caporosso è stato colpito alla schiena dalla pistola di un vigile urbano durante una tentata rapina a Tarano, nel 1981. Recluso in carcere, Caporosso non ha potuto seguire le terapie che gli avrebbero permesso di tornare a camminare e alla fine la paralisi è diventata irreversibile. Oggi, dopo che una sentenza del tribunale gli ha dato ragione, Caporosso è ai domiciliari.
A cura di Angela Marino
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Avrebbe potuto tornare a camminare, ma in carcere non fu curato e oggi, Dino Caporosso, cammina con le stampelle. Poteva essere evitato il calvario che Caporosso, oggi agli arresti domiciliari, vive a causa di una lesione midollare non trattata efficacemente. Era il 1981 quando, 23enne, tentò una rapina a una gioielleria di Taranto e invece di portare a casa un bottino di denaro e preziosi, portò una pallottola nella schiena. Quel proiettile, esploso dalla pistola di un vigile urbano, ha causato la lesione al midollo che lo ha costretto su una sedia a rotelle. Avrebbe potuto tornare a camminare, però, se fosse stato adeguatamente assistito. Caporosso è stato sottoposto per un periodo a trattamenti di Fisiokinesiterapia che però in carcere sono stati sospesi. A nulla sono servite le richieste dell'avvocato, né le prescrizioni mediche che ordinavano la continuazione del trattamento per il detenuto. E così è arrivato il giorno, in cui qualcuno ha detto basta, ora è troppo tardi.

Oggi Dino Caporosso, ex autotrasportatore, è recluso agli arresti domiciliari a Taranto, dove è assistito dalla sua famiglia. Il tribunale alla fine ha riconosciuto il grave danno arrecato dalla sospensione delle cure nel regime penitenziario, in "contrasto e in violazione delle prescrizioni". Dopo aver ottenuto un risarcimento per il danno subito in carcere – e aver intrapreso fuori dal penitenziario un percorso di cure che gli permette, oggi, di muoversi con le soltampelle – Dino Caporosso ha avviato anche un'altra battaglia contro la condanna per narcotraffico. "Caporosso è protagonista di una vicenda molto complessa – spiega l'avvocato Baldassarre Lauria. È stato assolto in una pluralità di processi che gli contestano fatti di matrice mafiosa, ma condannato per narcotraffico e additato come figura apicale del consorzio criminale locale. Si tratta di sentenze che si contraddicono tra loro. Oggi – dice il legale – stiamo provando a dimostrare che si tratta – anche in questo caso – di un errore per il quale oltre alla salute il mio cliente sta pagando con la vita. Perché? Sfortuna? No, certo, di casi giudiziari come il suo è piena l'Italia."

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