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Quella pagina nera della Resistenza: quando i partigiani uccisero 17 compagni

Il 7 febbraio 1945, cento garibaldini uccisero diciassette compagni nella roccaforte di Porzûs, sulle Alpi friulane, perché ritenuti dei traditori. Tra le vittime c’erano Guido Pasolini, fratello di Pier Paolo e Francesco De Gregori, zio del cantautore. L’eccidio fu uno degli episodi più bui della Resistenza.
A cura di Redazione
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Guido Pasolini, Elda Turchetti e Francesco De Gregori
Guido Pasolini, Elda Turchetti e Francesco De Gregori

Si scrive Porzûs, si legge Portsiùs: è un paesino di trenta anime nelle malghe del nord est, nel territorio di Attimis, sulle Prealpi, dove un giorno si racconta che la piccola Teresa Dush, a soli 9 anni, vide la beata Vergine. Terra di pastori e miracoli, di silenzi e misticismo a una manciata di chilometri da Udine in quelle montagne che un tempo venivano reclamate dalla Jugoslavia, è scolpita nella memoria del Paese per un episodio dolorosamente indelebile, l'eccidio.

Diciassette morti – la maggior parte ventenni, tra cui una giovane donna – il cui sangue fu sparso sul fogliame croccante dell'inverno alpino, braccati da centinaia di spietati cacciatori con ‘il mitra sul fianco'. Si facevano chiamare con nomi epici, qui diciassette ragazzi. Livia, Enea, Ermes, Bolla, Ateone, ma erano solo bambini che giocavano a fare la guerra. Uno di loro era il fratello di un poeta: si chiamava Guido Pasolini; l'altro, Bolla, di cognome faceva De Gregori, come quel cantautore di cui, essendo lo zio, sarebbe diventato, suo malgrado, faro ideologico.

La Resistenza che divide

Era l'inverno del 1945 e il Friuli era diviso tra varie brigate partigiane. La I brigata Osoppo, guidata dal capitano Francesco De Gregori, rappresentava il fronte anticomunista della Resistenza, quello che agognava una democrazia di tipo occidentale; poi c'erano la divisione Garibaldi Natisone, filocomunista al servizio del blocco partigiano jugoslavo, il cui unico obiettivo era la rivoluzione e l'annessione della Venezia Giulia al territorio slavo, annessione che i primi, gli ‘osovini', per questo tacciati di imperialismo, avversavano a ogni costo. Nella pluralità di ideologie c'era un solo nemico comune, il nazifascismo.

Sospetti e diffidenze

La Divisione Garibaldi Natisone, alla fine accetta di attraversare l’Isonzo per unirsi all’Esercito di Liberazione Popolare della Jugoslavia, mentre la brigata Osoppo resta arroccata a Porzûs. Con i Garibaldini in Solvenia e gli osovini in Friuli, la distanza tra i due gruppi aumenta, la tensione sale: i primi accusano i secondi di connivenza con i fascisti, i secondi di voler ‘svendere' il Friuli agli sloveni. Nel mezzo ci sono infiltrazioni di altri gruppi attori: i fascisti del governo centrale di Roma che provano ad approfittare delle divisioni per costituire un unico fronte antislavo. I comunisti fanatici dietro i quali c'è la regia di Mario Toffanin, detto, ‘Giacca'  legato sia agli sloveni e al PCI udinese.

L'accusa di tradimento

Le accuse di collaborazione con i fascisti, mosse subdolamente da Toffanin alle truppe osovine, sembrano trovare conferma con l'arrivo, Porzûs, di Elda Turchetti, 22 anni, deferita da Radio Londra come spia delle SS. Elda si era consegnata spontaneamente a un uomo della brigata Garibaldina, il quale l'aveva condotta nelle malghe in attesa di processo e affidata alle Osoppo, in attesa di verifiche. La presenza di Elda diventa la ‘prova regina' del tradimento degli Osovini, così, il Il 7 febbraio 1945, cento garibaldini guidati da Toffanin, eseguono la condanna a morte del capitano De Gregori, Elda Turchetti e un altro partigiano che da poco aveva raggiunto il comando friulano. Altri 13 giovani osovini vengono condotti a valle e trucidati nei giorni successivi, Tra loro c'è Guido Pasolini, fratello minore di Pierpaolo che così scriverà, ricordando il massacro: "Con la testa spaccata, la nostra testa, tesoro/umile della famiglia, grossa testa di secondogenito/mio fratello riprende il sanguinoso sonno, solo".

Una verità opaca

Elda, ‘Livia', Turchetti, era stata assolta dalle accuse dal tribunale partigiano il 1º febbraio 1945, solo pochi giorni prima del massacro. L'eccidio fu denunciato dopo la Liberazione, dai comandanti osovani Candido Grassi e Alfredo Berzanti. I due capitano accusarono i Garibaldini di aver ucciso i partigiani di Osoppo "sol perché si erano resi colpevoli di non aver voluto combattere i tedeschi sotto la bandiera jugoslava". Il processo non ha mai avuto una conclusione per avvenuta amnistia. Nel 2001 l'ex partigiano, Giovanni Padoan ‘Vanni', al tempo Commissario politico della Divisione Garibaldi Natisone, riconobbe l'eccidio come un ‘crimine di guerra', assumendosene le responsabilità. L'abbraccio con l'osovano don Redento Bello sancì la pacificazione.

Tra le malghe alle pendici delle Alpi, Porzûs, dove la madonna apparve alla piccola Teresa Dush,si chiede ancora perché fu versato quel sangue.

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