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Opinioni

Quando la smetterete di incolpare le donne vittime di violenza?

In un video pubblicato sui social, Beppe Grillo difende il figlio accusato di violenza sessuale, sostenendo che la ragazza non è stata stuprata ma ha inventato tutto. Sarebbero tante le cose da dire sul suo discorso, ma non lo faremo. Parleremo piuttosto del calvario di chi decide di denunciare una violenza sessuale, e del fatto che molto spesso il processo sia alla vittima, non all’aggressore.
A cura di Natascia Grbic
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Nel video in cui difende il figlio dall’accusa di uno stupro, Beppe Grillo dice che la ragazza se lo è inventato e che si trattava solo di una festa tra amici, sostenendo che chi denuncia una violenza diversi giorni dopo i fatti non è credibile. Ci sarebbero molte cose da dire sulle sue parole, ma tra le tante che sono state dette non si è parlato di quella più importante: della posizione della ragazza abusata, di colei che va a denunciare di aver subito uno stupro. E di come si possa sentire una donna o, in questo caso, una ragazzina, a dover affrontare tutto ciò che ne consegue. Che non è solo il processo, ma anche la shit storming – ve lo diciamo in italiano così si capisce meglio il senso, è  letteralmente la ‘tempesta di merda' – che sommerge la vittima di uno stupro quando lo denuncia, quando lo dice ad alta voce.

Parliamo di cultura dello stupro, della normalizzazione della violenza sessuale. Parliamo del fatto che quando avviene una cosa del genere e una donna denuncia, non si va mai ad analizzare il comportamento dell’aggressore, ma quello della vittima. Il che non vuol dire che non si condanni lo stupro, attenzione: ma c’è sempre quel subdolo “però”, quel sottinteso “eh vabbè, ma lei non è che si sia comportata proprio bene”. E da lì si va a cascata: "è lei che avrebbe dovuto vestirsi in maniera più consona", "è lei che ha provocato", "è lei che non doveva bere", "è lei che all’inizio era d’accordo". "Ma l’ha detto chiaro e tondo che era ‘no', ha urlato?". "E perché non lo ha detto subito, perché non ha denunciato?".

Tutti sanno quale deve essere il comportamento della vittima perfetta per essere credibile, nessuno dice quale invece avrebbe dovuto essere il comportamento dell’aggressore. Poco importa che una donna possa avere difficoltà a reagire alla violenza, a raccontarla, a elaborarla. Che abbia i suoi tempi per farlo, e che questi non sempre corrispondano a minuti d’orologio. Perché (e questo non è uno spoiler), le persone non sono robot. Ognuna è fatta in modo diverso dall’altra, e questo riguarda anche le reazioni agli eventi traumatici.

Tutti sono bravissimi a puntare il dito contro e a dire come si sarebbero comportati loro al posto di una donna abusata. Non è strano che in questo clima da caccia alle streghe una donna possa decidere di non denunciare, o di pensarci due volte prima di farlo. Anzi, è perfettamente comprensibile.

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Giornalista dal 2013, redattrice alla cronaca di Roma di Fanpage dal 2019. Ho lavorato come freelance e copywriter per diversi anni, collaborando con vari siti, agenzie di comunicazione e riviste. Laureata in Scienze politiche all'Università la Sapienza, ho frequentato nel 2014 la Scuola di giornalismo della Fondazione Lelio Basso.
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