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Pronto l’attentato per il giudice Di Matteo. Anzi, è già cominciato

Ennesimo allarme per l’incolumità del magistrato impegnato nel processo sulla trattativa tra Stato e mafia. Questa volta si tratta di un esponente mafioso intercettato mentre dice alla moglie di stare alla larga dal circolo tennistico frequentato dal giudice. “Quello lo devono ammazzare”, dice ma mentre il CSM valuta nuove disposizioni il governo e il capo dello Stato rimangono zitti.
A cura di Giulio Cavalli
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Ci risiamo. Ancora una volta: l'allarme per la vita di Nino Di Matteo questa volta scatta per l'intercettazione avvenuta nell'auto di un mafioso intento a discutere con la moglie. «A quello lì lo devono ammazzare» dice l'uomo alla donna chiedendo che la loro figlia non venga più accompagnata dalla nonna dalle parti del Tc2, il circolo di tennis in via San Lorenzo a Palermo frequentato proprio da Di Matteo. Dai toni del dialogo appare chiaro che il progetto di attentato sia più che mai attuale (al circolo sportivo o in qualsiasi altra parte di Palermo) e il Procuratore Capo di Palermo Francesco Lo Voi ha deciso di trasmettere immediatamente gli atti alla Procura di Caltanissetta (che per competenza si occupa delle minacce al magistrato) nonché al Consiglio Superiore della Magistratura.

In realtà i bene informati dicono che nello sviluppo delle indagini ci sia anche un altro riferimento (ancora più allarmante) a un attentato esplosivo anche se per questioni di opportunità non si riesce a sapere di più. Nino Di Matteo è stato ascoltato d'urgenza dal CSM e durante l'incontro con i membri della Terza Commissione (che si occupa dei trasferimenti delle toghe) gli è stata prospettata la possibilità di trasferirsi in un'altra città per garantirgli maggiore sicurezza. Il pm antimafia per ora ha preso tempo, combattuto tra la normale preoccupazione per la propria incolumità e la voglia di non mollare il pesante lavoro che a Palermo, da anni, lo vede impegnato nello scoprire i reali passaggi tra Stato e mafia all'epoca delle stragi.

L'ultimo allarme comunque si inserisce perfettamente in quanto già raccontato dai pentiti. Vito Galatolo aveva già detto che Matteo Messina Denaro in persona (il presunto nuovo capo di Cosa Nostra) avesse dato il via libera per l'attentato tramite una lettera che inoltre garantiva anche non meglio precisate "coperture": «A Cosa Nostra non conveniva fare queste cose, sarebbero tornati gli anni ’90 con gli arresti e l’esercito nelle strade, ma c’era l’ordine che si doveva fare. Il fatto delle coperture che erano presenti era proprio scritto nella lettera. Era scritto che facendo quell’attentato non ci dovevamo preoccupare perché questa volta non sarebbe stato come negli anni ‘90 e saremmo stati coperti. E quindi abbiamo accettato» ha dichiarato il collaboratore di giustizia che già nel 2014 raccontò dell'acquisto di 150 chili di tritolo che la mafia avrebbe acquistato per uccidere Di Matteo.

A marzo del 2015, proprio al circolo di tennis Tc2 di cui si fa riferimento nell'ultima intercettazione, alcuni ragazzi avevano notato la presenza di alcuni uomini armati vicino al cancello dell'ingresso secondario abitualmente usato dalla scorta del giudice. Alcuni testimoni oculari riferirono in quell'occasione che una delle armi notate fosse provvista di mirino aprendo scenari diversi anche rispetto all'esplosione violenta come mezzo di eliminazione. Del resto dalle parole dei pentiti si evince che tra le ipotesi di strategie da utilizzare per eliminare il giudice scomodo ci fosse anche l'utilizzo di armi da fuoco sia su Palermo sia su Roma.

Vista la delicatezza del momento investigativo in queste ore nessuno si dice disposto a rilasciare dichiarazioni eppure il rumore più assordante ancora una volta è il silenzio. Lo stesso silenzio che circonda Nino Di Matteo ormai da qualche anno, quando il PM ha deciso di investigare sui rapporti tra mafia e politica (e anche questa è una storia già vista in questo martoriato Paese). Nonostante molti gruppi di cittadini si siano attivati sui territori la politica appare "frenata" nello spendere anche una convenevole parola di solidarietà, una di quelle che di solito qui da noi non si negano a nessuno. In molti si sono spesi in questi anni per ottenere attenzione sulla vicenda, da Sabina Guzzanti a Salvatore Borsellino e molti tra giornalisti e personaggi dello spettacolo. La fotografa siciliana Letizia Battaglia aveva colto l'occasione di una lettera speditele dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per rispondere chiedendo attenzione sulla vicenda: "Come Lei sa meglio di me – scrisse la fotografa al Presidente della Repubblica – la Sicilia è una terra che vive di segnali e mai come in questo momento è importante non isolare il pm Di Matteo. La prego, Presidente, ascolti questo appello che raccoglie i timori e le preoccupazioni di tanta gente onesta di questo Paese. Un Suo gesto, una Sua parola possono realmente contribuire a cambiare il corso della storia. I miei occhi hanno visto troppi morti ammazzati, troppe stragi, troppi funerali. Non voglio pensare che tutto questo possa ancora ripetersi perché significherebbe che abbiamo perduto, e che anche noi siamo stati complici. Non voglio altri eroi morti, voglio che Nino Di Matteo possa continuare il suo lavoro da vivo e che anche lui possa vedere rinascere questa terra martoriata". Ovviamente non arrivò nessuna risposta.

Nino Di Matteo, in fondo, lo stanno già ammazzando: la delegittimazione che le mafie usano per isolare prima di colpire ha bisogno della pavidità (o collusione) dei potenti. Una cosa è certa: nel Paese della "vicinanza" che non si nega a nessuno Di Matteo è solo.

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Autore, attore, scrittore, politicamente attivo. Racconto storie, sul palcoscenico, su carte e su schermo e cerco di tenere allenato il muscolo della curiosità. Collaboro dal 2013 con Fanpage.it, curando le rubriche "Le uova nel paniere" e "L'eroe del giorno" e realizzando il format video "RadioMafiopoli". Quando alcuni mafiosi mi hanno dato dello “scassaminchia” ho deciso di aggiungerlo alle referenze.
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