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Processo Bossetti, la sorella di Yara: “Non aveva rapporti con persone più grandi”

La testimonianza di Keba, sorella maggiore di Yara Gambirasio, ha aperto l’udienza di oggi del processo a Massimo Giuseppe Bossetti. In aula anche l’uomo che trovò il cadavere: “Mentre aspettavo la polizia c’era un uomo che mi fissava”.
A cura di Susanna Picone
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Nuova udienza davanti alla Corte d’assise di Bergamo del processo per l’omicidio di Yara Gambirasio. Dopo la testimonianza dei genitori della ragazzina uccisa nel 2010 a Brembate Sopra, questa mattina ad aprire l’udienza è stata la sorella maggiore della vittima, Keba Gambirasio. La ragazza ventenne, molto emozionata, in aula ha ripercorso il pomeriggio del 26 novembre 2010, quando Yara non è più tornata dalla palestra che frequentava nel suo paese. Keba ha escluso che Yara conoscesse Massimo Giuseppe Bossetti, il muratore di Mapello unico indagato per il delitto, o la sua famiglia o che fosse stata avvicinata da lui o da qualche altro uomo nelle settimane precedenti la sua scomparsa. “Se fosse successo qualcosa di preoccupante lo avrei saputo”, ha detto la giovane in aula. “Se avesse avuto qualche approccio me lo avrebbe detto”, così ancora affermando che avrebbe capito se ci fosse stato qualcosa di strano nei giorni precedenti al dramma. Keba ha anche detto che Yara non aveva un diario personale, solo quello di scuola che lei qualche volta leggeva per controllare che facesse i compiti. La ragazza ha inoltre spiegato che sua sorella usava il computer di casa solo per comunicare con alcuni ragazzi conosciuti durante uno scambio con la scuola. Yara non le aveva “mai parlato di ragazzi più grandi o di avere confidenza con alcuni di loro. Non aveva rapporti con persone più grandi, me lo avrebbe detto o lo avrei saputo: io conoscevo tutte le sue frequentazioni”, ha affermato ancora Keba in aula. Ad ascoltarla in tribunale ci sono sia Bossetti e, tra il pubblico, anche la sorella gemella dell’indagato, Laura.

La testimonianza dell’ultima persona che ha visto Yara – Ha testimoniato davanti alla Corte anche Fabrizio Francese, l’ultima persona che ha visto Yara Gambirasio il 26 novembre del 2010. “Io stavo entrando, lei stava uscendo ci siamo incrociati. Mi ha sorriso e io le ho detto: ciao Yara”, ha detto il testimone che quel pomeriggio era andato a prendere la figlia della sua compagna al centro sportivo di Brembate Sopra, al termine dell'allenamento di ginnastica ritmica. Proprio mentre entrava in palestra, si imbatté in Yara, che stava uscendo. Erano circa le 18,40 e Fabrizio Francese lo seppe indicare agli inquirenti con una certa precisione, perché prima di scendere dall'auto aveva letto l'ora sull'orologio del cruscotto. Gli è stato chiesto se ricordasse di aver visto la ragazzina uscire dalla palestra: “Per vederla uscire avrei dovuto guardare indietro ma ho sentito la porta che si chiudeva”, ha risposto. Secondo il testimone, è impossibile che Yara, anziché lasciare la palestra avesse imboccato il corridoio verso gli spogliatoi: “No – è stata la sua risposta – se avesse cambiato direzione verso il corridoio degli spogliatoi me ne sarei accorto”. Francese ha anche detto di non avere visto furgoni nei pressi della palestra e, a proposito di Massimo Bossetti ha detto “non era un viso da me conosciuto”.

Ilario Scotti: “Quando trovai Yara un uomo mi fissava. Il cadavere sembrava un mucchio di stracci” – Nel corso dell’udienza ha testimoniato anche Ilario Scotti, l'aeromodellista di Bonate di Sotto che ha ritrovato il corpo di Yara il 26 febbraio del 2011 nel campo di Chignolo d’Isola. Il teste ha ribadito le dichiarazione rese durante l'indagine, che mentre attendeva l'arrivo delle forze dell’ordine un uomo, ai bordi del campo, lo aveva guardato per circa un quarto d’ora per poi andare via quando aveva sentito le sirene. “Era poco più alto dell'utilitaria da cui è sceso – ha ricordato il testimone – aveva una età di 50/55 anni. È salito su un panettone di cemento a bordo del campo e mi ha guardato per 10-15 minuti. Ho colto qualcosa di strano: guardarmi va bene ma per 15 minuti…”. Scotti ha anche ricostruito come ha trovato il corpo di Yara: “Ho lanciato il mio aeromodello ma avevo il vento contrario e il mio apparecchio ha fatto una lunga virata verso destra” per poi precipitare a circa 200 metri dall'inizio del campo. A qual punto si è addentrato sul campo e ha cercato di recuperare il suo modellino. “Quando l'ho preso, mi sono girato e due o tre metri ho visto quello che a prima vista mi è sembrato un mucchio di stracci. Poteva esserlo, ma non lo era. Era un corpo”, ha spiegato ancora. A quel punto ha chiamato la polizia senza allontanarsi troppo per timore di perdere di vista la posizione dove si trovava il cadavere: “Chiamai il 113: mi dissero, ha le scarpe? Nere risposi. Pantaloni? Neri. Non si muova da li, mi risposero”. Scotti ha raccontato di essere stato – dal giorno della scomparsa di Yara Gambirasio al suo ritrovamento 3 mesi dopo – una decina di volte nel campo per far volare i suoi aeromodelli, di mercoledì e di sabato. Quel sabato fu il cattivo funzionamento di uno dei suoi aerei che fece sì che scoprisse il corpo della ragazza.

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