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Polizia violenta e campi lager, ecco come vivono i rifugiati afghani in Grecia

Polizia violenta e campi profughi lager per i rifugiati afghani in Grecia in cerca di una nuova vita.
A cura di Carmine Benincasa
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Foto di Carmine Benincasa
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Era pieno agosto quando Biden annunciava il ritiro delle truppe dall’Afghanistan riconsegnandolo ai Talebani. Da allora i flussi migratori verso l’Europa sono aumentati, soprattutto lungo la rotta balcanica che porta migliaia di persone desiderose di entrare in Europa sulle coste della Grecia. Fanpage.it ha provato a documentare cosa accade realmente nei campi profughi governativi per Afghani e al porto di Patrasso, una via di fuga verso l’Italia. 

Il campo governativo di Malakasa, a un’ora da Atene, visto da lontano sembra una prigione: mura alte oltre 2 metri, filo spinato e tornelli per entrare. Il campo ospita oltre 1300 persone tra cui 670 bambini, molti non accompagnati. Il 98% di loro sono afghani. Le cucine, i bagni, le docce e tutti i servizi sono esterni e in comune. Chi non ha avuto la fortuna di stare in un container, oggi vive con la famiglia, anche con 5 figli, sotto una tensostruttura in cui non ci sono pareti divisorie ma solo altre tende. In quei spazi di massimo 3 metri quadri per famiglia si fa tutto: conservare le proprie cose, dormono, mangiare e passare il loro tempo.

Foto di Carmine Benincasa
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Il campo è ancora in costruzione, da qui a breve potrà ospitare altre 1000 persone ma all’interno c’è chi aspetta da questa estate i documenti di rifugiato arrivando anche a mentire sulla propria età per affrettare le pratiche e raggiungere i propri cari dall’altra parte d’Europa o del mondo.

Foto di Carmine Benincasa
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Ognuno di loro ha una storia di morte e dolore da raccontare, chi non ha perso un proprio caro in Afghanistan a causa dei Talebani lo ha visto morire annegato o di stenti qualcuno durante il viaggio verso l’Europa ma intanto restano in attesa che il Governo Greco, o l’Europa, dia loro risposta e di nuovo una vita tale da poter essere chiamata.

Foto di Carmine Benincasa
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Tra gli Afghani in attesa dei documenti c’è anche chi non vive nei campi governativi e ha occupato stabili oramai dismessi, rinunciando ai “comfort” del campo. Ma c’è chi è solo, non ha la famiglia con se e vuole raggiungerla, dalla  Grecia però ci sono troppe frontiere da attraversare a piedi e quindi ci prova illegalmente attraverso le navi mercantili o da turismo dal porto di Patrasso provando ad arrivare in Italia. 

Foto di Carmine Benincasa
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Difronte al porto ci sono ex fabbriche diventate dormitori per i migranti, anche loro perlopiù afghani, che ad ogni nave in partenza provano ad eludere la sicurezza della polizia e a intrufolarsi sotto le ruote dei tir o in qualche container.

Il porto di Patrasso non è “sprovveduto” a tali incursioni da parte dei migranti e ha eretto doppie mura di cinta con filo spinato, cani addestrati alla ricerca di esseri umani e un quantitativo di uomini spropositato per una vera e propria caccia all’uomo.

Foto di Carmine Benincasa
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Basta guardarsi attorno per vederli scrutare i tir alla ricerca di un punto dove aggrapparsi o nascondersi, anche rischiando d’essere schiacciati dagli stessi tir.

Non hanno tempo da perdere per parlare con i giornalisti, non appena i furgoni della polizia si allontanano loro scavalcano il filo spinato, anche ferendosi, e iniziano a correre. Centinaia di metri per arrivare alle navi ormeggiate, un nascondino diabolico tra le auto parcheggiate in cui se vengono scoperti la polizia sguinzaglia i cani o per arrestarli li picchia.  

Foto di Carmine Benincasa
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Non vogliono le telecamere, non per non essere ripresi, ma perché hanno paura che le telecamere diano nell’occhio e che questo attiri la polizia. Inizialmente sembra quasi paura delle telecamere e quando gli si prova a spiegare che sono della stampa e non della polizia la mimica e quelle poche parole non lasciano troppo all’immaginazione: “Arrestano anche i giornalisti”.  

Pochi minuti di riprese a questo “gioco infernale” che da un furgone con vetri oscurati escono 4 uomini, senza distintivo e senza nessun segno di riconoscimento che li faccia identificare come polizia, che mi chiedono di cancellare le immagini. Inutile mostrare il tesserino da giornalista, far vedere il passaporto italiano o spiegare che si sta svolgendo solo il proprio lavoro: pretendono che le immagini vengano cancellate e lo devono fare loro affinché non resti nulla per documentare ciò che realmente accade tra quel check-in, i bar per turisti in anticipo e quel filo spinato.

Le riprese, le foto e tutto il contenuto cancellato dalla polizia di frontiera greca è stato recuperato con software professionali di recupero immagini, con alcune perdite di file, fortunatamente non determinanti al fine del racconto.  

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