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Covid 19

Perché nelle Marche le terapie intensive sono al collasso

Le Marche sono la prima regione italiana per occupazione dei posti letto in terapia intensiva: la soglia massima del 30% è stata più che raddoppiata e si sfiora ormai il 66%. Marco Chiarello, Presidente dell’Associazione degli Anestesisti Rianimatori: “Colpa dei ritardi del governo nell’imporre nuove chiusure. I medici sono costretti a turni massacranti, non riposano da oltre un anno. E gli interventi chirurgici non urgenti stanno slittando di sei mesi”.
A cura di Davide Falcioni
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I numeri parlano chiaro. Le Marche continuano ad essere ormai da oltre una settimana la regione italiana con il più alto tasso di occupazione dei posti letto in  terapia intensiva: la soglia del 30% – fissata dal Governo come quella massima oltre la quale non è possibile garantire adeguata assistenza ai pazienti non affetti da Covid – è stata più che raddoppiata e sfiora ormai il 66%, con un incremento continuo che solo una brusca frenata dei contagi può rallentare ed invertire. I pazienti ricoverati in gravi condizioni sono ad oggi 157, numero che si sta avvicinando al record di 169 raggiunto il 30 marzo del 2020, esattamente un anno fa, con una differenza però sostanziale: allora il virus aveva travolto l'Italia all'improvviso cogliendo il paese impreparato; oggi, invece, avremmo dovuto essere pronti e aver messo in campo tutte le misure necessarie per salvare vite umane. Per fare il punto della situazione abbiamo intervistato il dottor Marco Chiarello, Presidente AAROI-EMAC Marche, l'Associazione degli Anestesisti Rianimatori ospedalieri. Chiarello, come altri suo colleghi, è  tornato dalla pensione per dare una mano nella lotta al Covid. "Siamo messi male. Se non caleranno presto i contagi rischiamo un disastro".

Le Marche sono la prima regione italiana per occupazione delle terapie intensive. Come si è arrivati a questo?
Chi aveva la responsabilità di prendere decisioni e imporre restrizioni per limitare la diffusione del virus ha temporeggiato troppo a lungo soprattutto a livello nazionale: non è stato evidentemente compreso il messaggio che ci stava arrivando dal Regno Unito, dove la più alta capacità di contagio della variante B.1.1.7 ha portato all'inizio di gennaio a un picco di quasi 70mila casi. In Italia siamo stati a guardare e a lungo non abbiamo chiuso nulla. Ora ne paghiamo le conseguenze e nelle Marche la situazione è particolarmente grave.

Ci dia qualche numero.
A Pesaro ci sono 40 ricoverati in terapia intensiva, altri 40 al Torrette di Ancona, poi 16 a Jesi, 14 a Fermo, 14 a San Benedetto del Tronto e 28 al Covid Center di Civitanova Marche. A metà febbraio superavamo già il 30% di occupazione delle terapie intensive ed avevamo 78/80 pazienti intubati, poi siamo passati a 98, 111 e arrivati a 157, con il tasso di occupazione dei reparti di terapie intensiva più alto d'Italia. Per fortuna stiamo tenendo perché negli ultimi nove mesi è stata aumentata la disponibilità dei posti letto.

Lo scorso anno non sono mancate polemiche per l'apertura del Covid Center di Civitanova Marche, la cosiddetta "astronave" voluta dalla giunta Ceriscioli, che chiamò come consulente Guido Bertolaso…
Sì, ma ad oggi, con l'attuale situazione, non è il caso di fare polemiche. Attualmente a Civitanova Marche ci sono 28 pazienti intubati nei quattro moduli aperti, ognuno da sette letti. Per riuscire a gestire questo centro, che sorge in un'area fieristica e non nel contesto di un vero e proprio ospedale, abbiamo dovuto mobilitare medici e infermieri da tutta la regione, in particolare da Camerino, Civitanova e Macerata e ciò naturalmente ha comportato una riduzione dell'attività in quegli ospedali, dove sono stati drasticamente ridotti gli interventi chirurgici per le altre patologie. D'altronde la coperta è corta e in questo anno si è fatto poco per sopperire alla carenza di personale. Dal punto di vista anestesiologico siamo sotto di 70 unità.

E come state riuscendo a reggere l'impatto con la terza ondata?
Abbiamo sopperito con anestesisti pensionati e specializzandi. I medici non riposano ormai da un anno e un mese, i primari non possono staccare il telefono neppure la notte. Siamo al limite.

La soglia del 30% di occupazione delle terapie intensive è stata individuata come quella limite. Secondo il Governo superarla significa non poter garantire assistenza sanitaria adeguata agli altri pazienti non affetti da Covid. Che significa, concretamente, tutto ciò?
Normalmente in ospedale il 35% degli anestesisti rianimatori gestisce le emergenze e il 60% lavora nelle sale operatorie. Ora questo numero si è invertito e la gran parte del personale è impegnata nell'emergenza Covid, mentre solo una piccola parte garantisce assistenza in sala operatoria o nei reparti, ad esempio per interventi chirurgici per l'asportazione dei tumori o per gli arresti cardiaci, che sono interventi non differibili.

E tutti gli altri?
Tutti gli altri devono attendere. Noi siamo ancora in grado di gestire le urgenze solo grazie all'abnegazione e allo spirito di sacrificio di medici e infermieri che non riposano da più di un anno e fanno turni massacranti. Tutte le malattie acute e le emergenze vengono evase, mentre le altre patologie vengono rinviate. Le faccio un esempio: se lei oggi avesse un ginocchio dolorante e per tornare a camminare necessitasse di un intervento chirurgico al menisco dovrebbe attendere almeno sei mesi e avere molta pazienza. Insomma, i disagi per i cittadini sono importanti con 157 ricoverati in terapia intensiva. Se però arrivassimo a 300 non riusciremmo a gestire più niente e saremmo costretti a spostare i pazienti in altre regioni. Per questo i contagi devono diminuire e di pari passo si deve accelerare sui vaccini.

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