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Cambiamenti climatici

Perché la battaglia di un villaggio contro una miniera è il centro della lotta al cambiamento climatico

Contro l’allargamento di una delle miniere di carbone più grande d’Europa, da giorni va avanti lo sgombero e la resistenza del villaggio di Lützerath in Germania. Qua sono arrivati attivisti da tutta Europa, abbiamo raggiunto una delegazione di italiani: “Quel carbone deve rimanere sotto terra, ne va del nostro futuro”.
A cura di Valerio Renzi
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Da giorni va avanti in Germania lo sgombero del villaggio di Lützerath nel Nord Reno-Westfalia, tra Aquisgrana e Düsseldor. Questo è diventato il centro delle lotte continentali contro i cambiamenti climatici. Il villaggio deve essere demolito per allargare la locale miniera di carbone. Peccato che ad aspettare la polizia ci sono migliaia di attivisti che hanno organizzato una resistenza potente e creativa, cresciuta nel corso degli scorsi mesi. Le immagini della polizia schierata a difesa delle enormi macchine per scavare nella terra, sul ciglio del cratere della miniera sono forse tra le più iconiche del nostro tempo e sembrano arrivare direttamente da una pellicola di sci-fi. Dall'altra parte un villaggio che si è allargata grazie all'ingegno e la laboriosità dei movimenti che chiedono la fine immediata dell'estrazione del carbone nel paese.

La battaglia in corso a Lützerath sta diventando un caso in Germania e non solo. Qui domani è attesa Greta Thunberg, mentre anche solo seguire su Twitter gli aggiornamenti delle tattiche dei manifestanti e delle proteste nelle varie città tedesche è difficile per la quantità di aggiornamenti. L'ultimo video arrivato dal villaggio, dove alcuni gruppi continuano a resistere allo sgombero circondati dalle forze dell'ordine che non fanno più entrare o uscire nessuno, è quello di due ragazzi che si riprendono, il volto coperto, sotto un tunnel: "È una struttura speciale destinata a prolungare lo sgombero", annunciano.

Le operazioni della polizia sono andate avanti per tutta la notte. Sotto la pioggia e il vento e a meno dieci gradi, in molti hanno dormito sulle case sugli alberi costruite per resistere più a lungo. Ieri sera abbiamo raggiunto un gruppo di attivisti italiani che si trova a Lützerath per sostenere la protesta. Un dialogo collettivo al telefono, in mezzo al chiacchiericcio di decine di persone che si organizzano per continuare azioni e manifestazioni incessantemente. Dopo esserci inseguiti per 48 ore la telefonata è arrivata in un momento di relativa tregua.

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"Siamo arrivati qua un po' per caso, a inizio dicembre, per scoprire questa realtà non sapendo bene cosa aspettarci in realtà. – spiega Daniele – Una volta qui ci è stato spiegato che lo sgombero sarebbe arrivato a gennaio e siamo tornati in Italia per organizzare un gruppo che tornasse per sostenere questa battaglia".

Ma come funziona questa lotta che sta facendo parlare di sé in tutto il mondo? "Siamo qua da una settimana. La composizione del villaggio era molto eterogenea, sia come orientamento politico che per pratiche. Il villaggio è stato organizzato per "quartieri", ognuno con la propria identità politica e autonomia". Ovviamente però tutto avviene in un quadro di "condivisione degli obiettivi e dei limi, con momenti di discussione collettivi e di manifestazione che coinvolgono tutto il movimento", aggiunge Andrea. Tra attivisti incatenati e barricate in fiamme, qui si sono visti anche gruppi di preghiera portare una croce di fronte alla polizia, la rigida non violenza passiva si coniuga con la disobbedienza civile. Ma qui c'è spazio per tutti, come spiega Pietro: "L'inclusione vera di tutte le persone è una delle cose più importanti che abbiamo visto. Alle azioni dirette hanno partecipato anche persone con disabilità motorie o handicap, e grande attenzione è data a tutte le differenze".

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"La grande forza è stata proprio l'armonia di pratiche di lotta molto diverse. – racconta ancora Ivana – Un altro elemento è che è un movimento assolutamente intergenerazionale". E ora che succede? "Lützerath è circondata, supportiamo quanto più possibile chi si trova all'interno. La scelta di andare avanti con lo sgombero anche di notte mette ovviamente a repentaglio la sicurezza di chi ha scelto di continuare la resistenza, inoltre la polizia ha costretto i paramedici all'evacuazione e non fa entrare i giornalisti. La stampa è tenuta distante anche dall'esterno del villaggio, così da impedire agli attivisti di raccontare direttamente cosa sta accadendo". 

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Ma oltre la cronaca della repressione e delle proteste, ci sta la ragione che ha portato migliaia di persone ha mettersi in gioco in questo piccolo villaggio che sta per essere cancellato per far avanzare la miniera di Garzweiler: qui entro il 2030 – quando il paese promette di abbandonare il carbone – dove il colosso dell'energia RWE prevede di estrarre 280 milioni di tonnellate di lignite, una delle fonti di energia più climalteranti. Una scelta del tutto incompatibile con il rispetto degli Accordi di Parigi di mantenere il riscaldamento globale entro la soglia di +1.5°. Un'impresa in cui non manco lo zampino italiano, con gli investimenti di Intesa San Paolo e Unicredit, come sottolineato in un dossier dalla ongr Recommon.

"Questo non lo possiamo permetter, quel carbone deve rimanere sotto terra – scandisce Andrea prima di salutarci – non servono nuove fonti di energia fossile se vogliamo davvero la riconversione ecologica. Ogni progetto di nuova infrastruttura o impianto, quanto l'allargamento di quelli esistenti deve essere bloccato. Per questo siamo qua, il cambiamento climatico è un fenomeno globale, lo deve essere anche la battaglia per fermarlo". Oggi in Germania, domani anche in Italia pensano gli attivisti venuti qua a tessere reti e a imparare da quello che è accaduto e sta accadendo a Lützerath.

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