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Testimoni di Geova, il lato oscuro della fede

Perché i testimoni di Geova rifiutano le trasfusioni di sangue?

Una donna di 70 anni, testimone di Geova, è morta all’ospedale di Piedimonte Matese dopo aver rifiutato una trasfusione di sangue. Ma perché i fedeli di questa religione rifiutano il sangue altrui? “E’ la Bibbia che lo comanda”, afferma la Congregazione dei testimoni di Geova. Per la Chiesa cattolica, invece, si tratterebbe di un’interpretazione errata delle sacre Scritture.
A cura di Mirko Bellis
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Una testimone di Geova di 70 anni, ricoverata all'ospedale di Piedimonte Matese, è morta venerdì scorso dopo aver rifiutato una trasfusione di sangue. Gli sforzi dei medici per farle cambiare opinione sono stati vani. Ma perché i fedeli di questa religione negano le trasfusioni? “La Bibbia comanda di non assumere sangue. Quindi non si deve accettare sangue intero o i suoi componenti principali in nessuna forma, che si tratti di cibo o di trasfusioni. È una questione di natura religiosa, non medica”, così categorica è la Congregazione dei testimoni di Geova sull'argomento. Per avvalorare questa tesi, vengono citati alcuni versetti dell’Antico e del Nuovo Testamento. “Geova, al quale dobbiamo la vita, decretò che non si doveva mangiare sangue – si legge nel sito dell’organizzazione religiosa – anziché decidere esclusivamente in base a preferenze personali o a valutazioni mediche, ogni cristiano dovrebbe considerare seriamente ciò che dice la Bibbia. È una questione fra lui e Geova”.

La proibizione si spinge al punto di negare persino la possibilità che venga trasfuso il proprio sangue. “A volte – contempla la congregazione – i medici invitano il paziente a depositare il proprio sangue settimane prima dell’intervento, così che in caso di bisogno possa essergli trasfuso il suo sangue conservato. […] I testimoni di Geova, tuttavia, non donano sangue né depositano il proprio sangue perché venga loro trasfuso in un secondo tempo invece di ‘versarlo’. Questa pratica è in contrasto con la legge di Dio”.

Per i fedeli a Geova, inoltre, esistono alternative al sangue. “Desideriamo ricevere le migliori cure mediche possibili per noi e per le nostre famiglie”, precisa l’organizzazione. “Le terapie senza sangue, che sono state sperimentate per venire incontro ai pazienti Testimoni, vengono ora usate a beneficio di tutti i pazienti”. Oltre alla questione religiosa, che viene prima di ogni altro aspetto, per la congregazione esistono anche possibili rischi sanitari legati alle trasfusioni. “Oggi in molti Paesi chiunque può scegliere di evitare i rischi correlati con le trasfusioni di sangue, come malattie trasmesse per via ematica, reazioni del sistema immunitario e complicanze dovute all'errore umano”. Citando studi scientifici, infine, la Congregazione dei testimoni di Geova sottolinea: “I pazienti che non ricevono trasfusioni di sangue, bambini inclusi, di solito si riprendono al pari o anche meglio dei pazienti che hanno accettato emotrasfusioni. In ogni caso – non si può dimostrare che un paziente morirà perché rifiuta il sangue o che vivrà perché lo accetta”.

Occorre precisare che questa religione lascia alla coscienza del singolo fedele la possibilità o meno di accettare una trasfusione. Le conseguenze, però, non sempre sono piacevoli. Come nel caso di Grazia Di Nicola, una ex seguace di 48enne. Di fronte ad una delicata operazione chirurgica, la donna ha consentito alla trasfusione andando incontro ad una serie di dolorose ripercussioni. E’ stata espulsa dalla sua congregazione e i rapporti con le sue tre figlie, tutte testimoni di Geova, sono andati progressivamente peggiorando fino alla completa rottura.

L’intransigenza dimostrata dai testimoni di Geova nel seguire alla lettera le sacre scritture è criticata anche dai cattolici. Famiglia Cristiana, infatti, ha trattato l’argomento è la chiave di lettura che ne dà è diversa. “Da tempo si è capito che un’interpretazione letterale e fondamentalistica della Scrittura non è corretta – scrive Don Antonio Rizzolo rispondendo alla lettera di un lettore – perché non tiene conto del contesto storico in cui gli originali furono scritti e dell’enorme distanza temporale che da essi ci separa. Nei tre testi citati [dai testimoni di Geova, ndr] si parla di “astenersi” dal sangue (degli animali usati per i sacrifici), perché secondo la mentalità semitica il sangue è sede della vita, visto che, perdendolo, essa se ne va. Per i Testimoni di Geova introdurre del sangue estraneo nel proprio organismo equivale a quel “mangiare il sangue” proibito dal Levitico. Ma l’Antico Testamento, nel cristianesimo, va sempre collegato al Nuovo e al mistero di Cristo. Con Lui, unico Salvatore, sono cadute molte prescrizioni antiche. Ora, il “senso profondo” di Lv 17,10-14 è che Dio chiede all'uomo un totale rispetto della vita, di cui Egli è l’autore. Il divieto di mangiare il sangue equivale, perciò, a rispettare e a tutelare la vita ovunque essa si presenti. Dunque, proprio l’emotrasfusione, anziché trasgredire il comandamento biblico, è un modo per osservarlo e praticarlo, specie quando è necessaria per salvare una vita!”.

Una posizione condivisa anche da Don Stefano Greco, un sacerdote della diocesi di Bologna. “I testimoni di Geova – afferma a Fanpage.it – nel loro rifiuto del sangue invocano un principio di fedeltà a Dio. Sostengono che anche i primi cristiani diedero la vita nel nome della fede o lo stesso Abramo, che era sul punto di sacrificare il proprio figlio. Il loro ragionamento, insomma, è questo: posso salvare la mia vita terrena grazie ad una trasfusione, però facendolo violerei un principio divino e sarei condannato a non essere resuscitato”. “Un principio – osserva Don Stefano – che può essere valido per tante religioni, cristianesimo compreso”. “Il punto tragico – conclude – è che il rifiuto del sangue umano è solo un’interpretazione della Torre di Guardia (la Watch Tower Bible and Tract Society of Pennsylvania, il principale ente dei Testimoni di Geova, ndr) che nulla a che fare con quello che Dio intendeva dire nelle sacre Scritture”.

Al di là del piano teologico, e nel pieno rispetto della libertà religiosa, rimane lo sgomento dei medici costretti ad assistere impotenti alla morte di una paziente che avrebbe potuto salvarsi grazie ad un paio di sacche di sangue.

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