Operata al cuore, ma non serviva: paziente muore per un’infezione. Famiglia risarcita con un milione di euro

Un’operazione al cuore che non sarebbe mai dovuta essere eseguita, seguita da un’infezione contratta durante il ricovero e, infine, la morte della paziente. È attorno a questa sequenza di eventi che si è sviluppato il procedimento civile concluso nei giorni scorsi dal Tribunale di Firenze, che ha condannato una clinica privata a risarcire i familiari di una donna di 67 anni con una somma complessiva superiore al milione di euro tra danni e spese legali.
I fatti risalgono al 2017. La donna si era rivolta alla struttura sanitaria per una dilatazione aortica di dimensioni inferiori ai 50 millimetri, una condizione che, secondo quanto emerso nel corso del processo, non rientrava tra quelle che rendono necessario un intervento chirurgico di sostituzione valvolare. Le consulenze tecniche disposte dal giudice hanno chiarito che, alla luce delle linee guida cliniche allora in vigore, il trattamento più appropriato sarebbe stato di tipo conservativo: terapia farmacologica, monitoraggi periodici e controlli strumentali ravvicinati per tenere sotto osservazione l’evoluzione della dilatazione.
Nonostante questo, i sanitari optarono per un intervento chirurgico invasivo, procedendo al reimpianto della valvola aortica in una protesi vascolare. Una scelta che il Tribunale ha ritenuto priva di una reale indicazione clinica. Durante il ricovero post-operatorio la paziente contrasse un’infezione che, in breve tempo, si rivelò fatale.
Un passaggio centrale della sentenza riguarda proprio l’origine dell’infezione. Secondo il giudice Massimiliano Sturiale, che ha firmato il provvedimento, è stato accertato che l’infezione non era presente né al momento del primo ingresso della donna in clinica né prima dell’intervento. In caso contrario, viene sottolineato, gli esami preoperatori o l’osservazione diretta da parte del chirurgo ne avrebbero rivelato l’esistenza. Per il Tribunale, quindi, il contagio sarebbe avvenuto proprio durante il percorso ospedaliero, in connessione diretta con un’operazione ritenuta non necessaria.
Nella motivazione si legge che “non vi è dubbio” sul fatto che la decisione di sottoporre la paziente a un intervento evitabile rappresenti l’antecedente causale determinante del decesso. È su questa base che il giudice ha riconosciuto la responsabilità della struttura sanitaria per errore di gestione clinica.
I familiari della donna, dopo la morte, avevano avviato l’azione legale per comprendere cosa fosse accaduto, anche alla luce del fatto che la 67enne, a parte alcuni disturbi, non presentava un quadro clinico particolarmente compromesso. L’iter processuale ha ricostruito nel dettaglio l’intera vicenda, portando alla condanna della clinica al pagamento di circa 250 mila euro per ciascun parente stretto, fino a raggiungere una cifra complessiva che sfiora 1 milione e 40 mila euro, a cui si aggiungono interessi e spese.
Si tratta di una sentenza di primo grado, contro la quale la struttura potrà comunque ricorrere in appello. Resta però il giudizio netto del Tribunale di Firenze: un intervento chirurgico non indicato dalle linee guida, seguito da un’infezione contratta in ospedale, ha portato alla morte di una donna che avrebbe potuto essere curata con terapie meno invasive.