Omicidio Sofia Stefani, la pm accusa Gualandi: “Ha detto bugie a tutti, sua versione mai convincente”

Si è aperta questa mattina davanti alla Corte d’Assise di Bologna, presieduta dal giudice Pasquale Liccardo, la requisitoria della pm Lucia Russo nel processo di primo grado a carico di Giampiero Gualandi, 63 anni, ex comandante della Polizia locale di Anzola dell’Emilia, accusato dell’omicidio volontario di Sofia Stefani, 33 anni, ex vigilessa, uccisa il 16 maggio 2024 nell’ufficio dell’imputato. L’omicidio, secondo l’accusa, è aggravato dal legame affettivo tra i due e dai futili motivi alla base del gesto.
Gualandi, oggi assente in aula – avendo rinunciato a comparire – è difeso dagli avvocati Claudio Benenati e Lorenzo Valgimigli. Il processo, ormai prossimo alla conclusione, ha visto la Procura ricostruire con precisione le circostanze del delitto, partendo dall’analisi delle dichiarazioni dell’imputato e dei dati emersi dal telefono della vittima.
Gualandi, una versione mai convincente secondo l'accusa
La pm Russo ha sottolineato come le indagini non avessero l’obiettivo di identificare l’autore dell’omicidio, dal momento che Gualandi aveva subito ammesso di aver esploso il colpo. Tuttavia, la sua versione dei fatti – secondo cui si sarebbe trattato di un incidente durante la pulizia dell’arma – è risultata “assolutamente carente e priva di plausibilità”, caratterizzata da dichiarazioni “ai limiti della fantasia e anche oltre”.
Secondo la Procura, Gualandi ha mentito ripetutamente, sia nel racconto immediato dei fatti, sia durante il processo, ingannando la moglie, l’amante e numerose altre persone. Fondamentale, in questo senso, è stata l’analisi del telefono di Sofia, che ha permesso di ricostruire ogni aspetto della relazione tra i due e di evidenziare la drammatica escalation culminata nel delitto.
La telefonata al 118 e il comportamento in aula
Alle 16 del giorno dei fatti, Gualandi chiamò il 118 affermando: “È partito un colpo, evidentemente c’era un proiettile dentro. Lei mi ha aggredito, aggredito si fa per dire, ed è partito un colpo”. La pm ha sottolineato l’importanza di esaminare le esatte parole pronunciate dall’imputato, per evitare valutazioni soggettive.
Quando i soccorsi arrivarono, Gualandi era in piedi a gambe divaricate, dichiarando di star effettuando il massaggio cardiaco, mentre i colleghi mostravano evidente agitazione, con occhi arrossati e parole incerte. La freddezza dell’imputato, secondo la Procura, contrastava nettamente con lo stato emotivo dei presenti, rafforzando la tesi di volontarietà dell’azione.
Le diverse versioni dell'ex comandante
La pm ha evidenziato che, nel corso degli interrogatori, Gualandi fornì molteplici versioni dei fatti. In un primo momento descrisse la relazione con la vittima come “di natura sessuale, di cui mia moglie era a conoscenza”, sostenendo che Sofia lo avrebbe aggredito mentre stava pulendo l’arma e che, durante la colluttazione, era partito un colpo.
Versione ritenuta dalla Procura del tutto inadeguata e menzognera, soprattutto considerando il comportamento successivo dell’imputato e le prove digitali raccolte. Gualandi dallo scorso luglio è tornato in carcere.
Omicidio Stefani, la conclusione della pm
“Le contestazioni a carico di Giampiero Gualandi hanno trovato conferma”, ha esordito la pm Russo nella sua requisitoria, articolata in due momenti: gli eventi precedenti e successivi al 16 maggio.
Secondo la Procura, la dinamica dei fatti, unita alle menzogne ripetute dell’imputato, conferma la responsabilità di Gualandi nell’omicidio volontario di Sofia Stefani, escludendo la tesi dell’incidente. Il telefono della vittima ha permesso di documentare ogni dettaglio del rapporto tra i due e di dimostrare che l’imputato ha sempre cercato di nascondere la verità, mentendo sistematicamente a chiunque fosse coinvolto nella vicenda.