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Moby Prince, il traffico d’armi dietro al disastro, l’agente dei servizi: “Noi a bordo delle bettoline”

Abbiamo raccolto la testimonianza di ex agente dei servizi segreti italiani che spiega il traffico d’armi in atto a Livorno la notte del disastro del Moby Prince. Una strage che contò 140 vittime e che ancora oggi non ha un colpevole.
A cura di Antonio Musella
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Il 10 aprile del 1991 alle 22:25, il traghetto di linea Moby Prince, appena partito dal porto di Livorno diretto ad Olbia, si schiantò contro la petroliera Agip Abruzzo a tre miglia a sud dall'uscita del porto. E' stato il più grande disastro della marineria italiana con 140 morti, tutti a bordo del Moby Prince. Una storia che è annoverata tra quelli che vengono definiti "i misteri italiani". Perché il traghetto si schiantò contro la petroliera? Cosa causò la strage? Non sono bastati i processi giudiziari e ben due commissioni parlamentari d'inchiesta per stabilire le cause non solo del disastro, ma anche del numero così elevato di morti. A settembre del 2022 la seconda commissione parlamentare d'inchiesta, nella sua relazione finale, indicò un nuovo scenario, una terza nave avrebbe tagliato la strada al traghetto, obbligandolo ad una manovra repentina che lo avrebbe portato allo schianto contro la petroliera. L'inchiesta di Fanpage.it porta alla luce quello che avvenne quella notte nel porto di Livorno, un traffico d'armi che vedeva protagoniste alcune navi militarizzate americane. Abbiamo incontrato, dopo 32 anni, un ex agente dei servizi segreti italiani che quella notte era a bordo delle navi militarizzate.

L'impatto tra le due navi e i soccorsi anomali

Ad accompagnarci nella ricostruzione di cosa avvenne quella notte è Gregorio De Falco, ex senatore, che ha partecipato ai lavori delle commissioni parlamentari d'inchiesta. Preziose risultano le registrazioni delle comunicazioni via radio del canale 16, che ci permettono di ricostruire almeno in parte i momenti di quella sera del 10 aprile del 1991. "Il Moby appena partì dal porto evidenziò subito dei problemi di comunicazione, la radio non si sentiva bene, il segnale era pesantemente disturbato" racconta De Falco. "Alle 22:25 ci fu l'impatto tra il traghetto e la petroliera, ma dalla Capitaneria di Porto fu sentito solo il May Day dell'Agip Abruzzo". Dalle registrazioni finite negli atti della commissione parlamentare d'inchiesta si sente un solo segnale confuso, pesantemente disturbato. "Moby Prince! Moby Prince! MayDay! May Day! Siamo in collisione". Impossibile da percepire nitidamente quella notte, le parole di quel flebile segnale pesantemente disturbato sono state ricostruite solo successivamente. A sentirsi bene è invece il May Day dell'Agip Abruzzo: "Capitaneria da Agip Abruzzo! Siamo incendiati! C'è venuta una nave addosso!" grida il comandante Renato Superina alla radio. Dalla capitaneria chiedono la posizione. "Tre miglia a Sud del porto di Livorno" risponde Superina. La Capitaneria chiede: "Qual è la nave che vi è venuta addosso?". "Ora qui è un macello. Non lo so" rispondono dall'Agip Abruzzo.

Da qui in poi sarebbero dovuti partire i soccorsi. Di norma vigili del fuoco, vedette della Capitaneria, ed anche gli ormeggiatori che uscirono appena sentito via radio dell'incidente, avrebbero dovuto recarsi verso entrambe le navi, ma non fu così. "Non ci fu coordinamento dei soccorsi da parte della Capitaneria – spiega De Falco – i soccorsi furono sostanzialmente spontanei ed il coordinamento fu lasciato ai mezzi stessi. Quello che si produsse fu che tutti i mezzi di soccorso si recarono verso la petroliera". Nessuno, nell'immediatezza si mise a cercare la nave che si era schiantata contro la poppa della petroliera. Dalle registrazioni audio si sente dall'Agip Abruzzo una comunicazione perentoria: "Non sappiamo cosa ha l'altra nave, non scambiate loro per noi". I Vigili del Fuoco dopo non poche difficoltà, dovute al fumo nero prodotto dal petrolio che bruciava in mare, riescono a trovare la Agip Abruzzo e ad avviare l'evacuazione della nave per portare a terra l'equipaggio. "Nessuno andò nemmeno a cercare l'altra nave, nemmeno per sapere di che nave si trattasse, il primo mezzo che si avvicinò al traghetto lo trovò per caso, perché si vide passare davanti una nave in fiamme che continuava a camminare a marcia indietro" sottolinea De Falco.

La prima barca che arriva al Moby Prince è quella degli ormeggiatori, a bordo c'erano Mauro Valli e Walter Mattei. "Si accorsero che c'era un uomo a poppa della nave che provava a buttarsi in acqua, era il mozzo Alessio Bertrand, l'unico superstite del Moby Prince". Dalle registrazioni si sente in tono concitato il momento in cui gli ormeggiatori individuano il Moby in fiamme: "CP uomo in mare, si è buttato dal ponte della nave, ci siamo sopra". E subito dopo: "Abbiamo raccolto un naufrago, dice che ci sono altre persone sulla nave". Quando gli ormeggiatori finalmente recuperano il mozzo Alessio Bertrand, riferiscono che ci sono altri naufraghi da salvare. Poco dopo l'ormeggiatore viene raggiunto da una vedetta della Capitaneria, la CP232. La vedetta sembra immobile, e gli ormeggiatori lo comunicano via radio: "Un naufrago lo abbiamo già raccolto, ora accanto a noi c'è una CP che indugia, andare a poppa della nave, il naufrago dice che ci sono altri naufraghi da salvare". Agli atti c'è un'altra registrazione, subito dopo, come ci spiega Gregorio De Falco: "La CP 232 comunica: sì ho visto che c'è una nave incendiata, ma mi tengo a debita distanza. Questa roba qui è agli atti". La motovedetta dunque non si sarebbe avvicinata al Moby Prince in fiamme. Gli ormeggiatori non demordono e comunicano l'identità della nave: "E' il Moby Prince! Ha fatto operazioni commerciali quindi c'è un sacco di gente sopra".

Dopo quest'ultima comunicazione nessuno più risponde. Inizia un lunghissimo silenzio radio. Gli ormeggiatori, concitati lo fanno notare: "Avvisatore Avvisatore! Qualcuno deve rispondermi, cosa è successo?". Nessuna risposta arriverà agli ormeggiatori. "Come è stato successivamente ricostruito – spiega De Falco – la CP232 fa salire a bordo il naufrago salvato dagli ormeggiatori. Solo dopo riprendono le comunicazioni radio, ma questa volta il tono degli ormeggiatori è completamente diverso, non è più concitato e da quello che dicono cambiano completamente le cose". Dalle registrazioni, dopo il lungo silenzio si sente la Capitaneria chiedere agli ormeggiatori se il naufrago, che ora è a bordo della motovedetta, ha riferito se ci fossero o meno superstiti, e gli ormeggiatori rispondono: "Il naufrago ha detto che sono tutti morti bruciati". Successivamente, davanti alla commissione parlamentare d'inchiesta, i due marinai a bordo dell'ormeggiatore hanno smentito la prima parte delle comunicazioni, secondo loro c'è stato un errore di sbobbinatura, nonostante le comunicazioni registrate siano chiarissime. Per loro non c'erano altri superstiti. "Questo cambia completamente lo scenario" spiega De Falco.

"Quelle persone potevano essere salvate"

Il lavoro delle commissioni parlamentari d'inchiesta, la prima presieduta da Silvio Lai e la seconda da Andrea Romano, hanno evidenziato il buco nero dei soccorsi. "Che quelle persone potevano essere salvate è una delle certezze a cui si arriva con la commissione Lai" sottolinea De Falco.  Nessuno cercò altri superstiti, nessuno si occupò di verificare se a bordo del Moby Prince ci fosse qualcuno vivo. Il traghetto verrà trainato in porto la mattina seguente, ma nessuno spruzzò acqua sulla nave, e nessuno, anche dalle immagini aeree, si occupò di vedere se c'erano persone in vita. "Oggi sappiamo che le persone sopravvissero moltissime ore a bordo del Moby Prince – racconta De Falco – addirittura delle immagini aeree del mattino si vedono corpi non ancora carbonizzati sul ponte della nave. Ci sono intere famiglie, come la famiglia Canu, che furono trovati morti uno sull'altro, integri, morirono per i fumi, per intossicazione. Anche loro potevano essere salvati". Furono diversi i cadaveri trovati non carbonizzati a bordo del traghetto. "Ci una una abdicazione ai soccorsi" riferisce De Falco.

Per anni la causa del disastro fu individuata nella presenza di nebbia, che non avrebbe consentito la visuale al comandante del Moby Prince Ugo Chessa. Grazie alle indagini volute dalla famiglia Chessa e proseguite poi con i lavori delle commissioni parlamentari d'inchiesta, oggi sappiamo che non c'era nebbia. Era scritto chiaramente nel bollettino dell'Avvisatore Marittimo Romeo Ricci, che scrisse che c'era visibilità perfetta e assenza di nebbia. Ci sono voluti anni per smontare la tesi, forse finanche troppo comoda per qualcuno, del presunto errore umano del comandante Chessa e della presenza di nebbia.

Perché ci fu l'impatto? Il mistero delle navi militarizzate

Ma per capire le cause dell'impatto tra il Moby Prince e la Agip Abruzzo, forse bisogna andare a indagare su quali altre navi c'erano in rada quella notte nel porto di Livorno. "Sappiamo con certezza che c'erano molte navi militarizzate, si tratta di navi mercantili ma in uso governativo, in questo caso cinque erano in uso al governo degli Stati Uniti e poi c'era una nave militare francese" spiega De Falco. Dai documenti dell'Avvisatore Marittimo, si evidenzia la presenza quella notte delle navi militarizzate: Cape Flattery, Gallant II, Cape Siros, Cape Breton, Efdin Junior, Port de Lyon. Si trattava di navi molto più piccole del Moby Prince, delle "bettoline". Nelle registrazioni delle comunicazioni radio di quella notte ci sono almeno due tracce evidenti di queste navi che restano però non identificate. La prima comunicazione si sente prima della collisione tra il traghetto e la petroliera: "The passenger ship, the passenger ship". Una voce avverte che c'è una nave passeggeri. L'altra traccia audio nelle registrazioni si sente nel bel mezzo dei soccorsi: "This is Theresa to Ship One in Livorno anchorage, i'm mooving out, i'm mooving out, braking station". La nave dal nome in codice "Theresa" comunica a Nave 1 all'ancora a Livorno che sta andando via, e chiude le comunicazioni. Come si è successivamente ricostruito con le commissioni parlamentari d'inchiesta, le navi militarizzate trasportavano una parte dell'arsenale militare impiegato nella prima Guerra del Golfo contro Saddam Hussein. "L'Avvisatore Marittimo scrive che alcune di queste navi caricavano esplosivi" specifica De Falco. Anche nelle comunicazioni radio dalla Agip Abruzzo si fa più volte riferimento a "bettoline", subito dopo il May Day: "Sembra una bettolina quella che ci è venuta addosso". E successivamente: "Vigli del Fuoco da Agip Abruzzo, noi abbiamo iranian light, crude oil, ma non sappiamo la bettolina che ci è venuta addosso cosa ha a bordo". Una bettolina del tempo poteva raggiungere i 40 metri di lunghezza, mentre il Moby Prince era lungo 131 metri, la differenza tra la grandezza di una bettolina e quella del traghetto è in un rapporto di almeno 3 a 1. Tutti questi elementi si sommano alle conclusioni a cui è arrivata la seconda commissione parlamentare d'inchiesta sul Moby Prince: una terza nave tagliò la strada al traghetto, determinando la manovra improvvisa che portò il Moby Prince a schiantarsi contro la Agip Abruzzo.

L'agente segreto italiano: "Eravamo a bordo delle bettoline"

Dopo 32 anni abbiamo incontrato un ex agente dei servizi segreti italiani che ci ha parlato di cosa avvenne quella notte. Lui era lì a bordo di quelle bettoline. Con l'aiuto di una spy cam ci siamo fatti raccontare quali erano i traffici che svolgevano le bettoline militarizzate. "Lei si immagini che c'era da smobilitare l'intero arsenale della prima Guerra del Golfo, tutte le armi sono passate di lì" racconta la fonte. "C'erano 8-10 bettoline che facevano avanti e indietro, entravano e uscivano dal porto, sempre la stessa rotta. Si vedeva passare un 15-20 M1 Abrams (un carro armato ndr) su una barchetta che faceva a mala pena così…" e indica un andamento incerto. Gli chiediamo del suo ruolo quella notte: "All'epoca tutti i pulcini eravamo in acqua, anche io. Gli americani caricavano sulle bettoline e a bordo delle bettoline c'eravamo noi, era tutta roba nostra". Chiediamo all'ex agente dei servizi segreti italiani se gli agenti dei servizi caricavano e scaricavano armi da una nave all'altra: "Trasbordavano quello che dovevano trasbordare" ci risponde. Ma chi comprava queste armi? "Vatti a vedere dove finiscono" ci dice la fonte. Da questo racconto quello che emerge è che quella notte a Livorno c'era un traffico di armi non autorizzato, c'era chi vendeva e chi comprava, con il supporto dei nostri servizi segreti e degli apparati militari americani. Un traffico nella notte fatto con delle "bettoline" militarizzate, che entravano ed uscivano dal porto. A chi andavano queste armi? "Israele fino a qua – ci dice l'ex 007 – l‘Arabia Saudita, ad un certo punto ci dice, grazie per averci aiutato, minchia quanto ci siete costati, quanto costa tutta questa roba qui, la compriamo noi". Era quindi l'Arabia Saudita uno dei paesi che comprava quelle armi ? "Può essere – ci dice – non mi addentro nella fantapolitica".

Questa testimonianza raccolta da Fanpage.it disegna quindi uno scenario nuovo: quella notte c'era un traffico d'armi non autorizzato, le bettoline militarizzate entravano e uscivano in maniera furtiva dal porto di Livorno, trasbordando, da una nave all'altra, armi, esplosivi e perfino carri armati. E' possibile che fu una di quelle bettoline a tagliare la strada al Moby Prince? E' quello su cui ora bisognerà lavorare dirigendo finalmente le indagini, verso la ricerca della precisa identità di tutte le navi in mare quella notte di 32 anni fa a Livorno. Intanto i familiari delle 140 vittime del Moby Prince, attendono ancora verità e giustizia.

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