L’uomo che si è finto poliziotto per aiutare la compagna a non drogarsi: denunciato a Catania

Un gesto estremo, compiuto – almeno secondo la sua versione – non per truffa né per vantaggi personali, ma per amore. È la vicenda di un uomo di 41 anni, originario della provincia di Siracusa e residente a Catania, che per anni si sarebbe spacciato per agente di polizia nel tentativo di convincere la sua compagna a smettere con la droga. La sua messa in scena è però finita nel peggiore dei modi: denunciato dalla polizia di Stato per possesso di segni distintivi contraffatti e porto di oggetti atti a offendere.
Tutto è emerso nei giorni scorsi al pronto soccorso dell’ospedale San Marco. Lì l’uomo si era presentato con atteggiamento deciso, indossando una maglietta con il logo della polizia e dichiarando di voler assistere la compagna, reduce da un TSO e ricoverata nel reparto di psichiatria. La sua agitazione ha insospettito il personale sanitario, che ha preferito chiedere l’intervento delle forze dell’ordine.
Quando gli agenti delle Volanti sono arrivati, il quadro si è fatto subito chiaro. L’uomo è stato identificato e sottoposto a perquisizione: nella tasca dei pantaloni nascondeva un tirapugni, mentre nella borsa portava tre finti tesserini della polizia con la sua fotografia. Nella sua auto, inoltre, era stato installato un lampeggiante blu, di quelli che imitano i dispositivi in dotazione alle pattuglie.
Il controllo è poi proseguito nella sua abitazione, dove i poliziotti hanno trovato un vero e proprio arsenale di oggetti falsificati: attestati di partecipazione a corsi, effigi, timbri con lo stemma della polizia di Stato e persino una pistola a salve. Tutto il materiale è stato sequestrato.
Interrogato sulle ragioni di quel comportamento, il 41enne ha spiegato di non aver mai avuto l’intenzione di trarre profitto da quelle contraffazioni. Secondo la sua ricostruzione, l’unico scopo era aiutare la compagna tossicodipendente a liberarsi dalla spirale della droga. Una missione personale che lo avrebbe portato, nel corso degli anni, a muoversi nelle zone più difficili della città – sempre stando alla sua ricostruzione – fingendosi poliziotto per allontanare la donna dagli ambienti dello spaccio.
Ha raccontato di essersi più volte avventurato nei quartieri noti per il traffico di stupefacenti, presentandosi come agente per cercare di “spaventare” pusher e consumatori e recuperare la compagna. Una strategia discutibile, che secondo lui rappresentava però l’unico modo per proteggerla. Lo stesso stratagemma lo avrebbe utilizzato in ospedale, dove si era qualificato come appartenente alle forze dell’ordine non solo per avere accesso a reparti riservati, ma anche per usufruire dei parcheggi senza pagare.
La sua ricostruzione lascia emergere una motivazione che, pur animata da un intento “salvifico”, non cambia la sostanza dei fatti: l’uomo ha accumulato nel tempo un intero corredo di simboli e strumenti falsi, violando la legge e mettendo in pericolo sé stesso e gli altri.
Adesso dovrà rispondere davanti alla giustizia dei reati contestati. Resta, tuttavia, il profilo umano di una storia che mescola amore, disperazione e illegalità. L’uomo non si considera un truffatore, ma un compagno disposto a oltrepassare ogni limite pur di sottrarre la donna al baratro della dipendenza. Un’illusione di giustizia privata che si è infranta contro la realtà dei fatti, riportandolo dall’altra parte della barricata: quella dei denunciati.