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Lo chef Massimo Bottura: “Il nostro mestiere è fatto di amore”

Massimo Bottura arriva a Napoli come un vulcano nella terra del Vesuvio. Il cuoco modenese parla della grandezza dell’Italia, dei suoi eroi e della mensa solidale dell’Expo 2015.
A cura di Simone Nicòtina
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Il cuoco Massimo Bottura (Foto LaPresse).
Il cuoco Massimo Bottura (Foto LaPresse).

Prendete la città più anarchica ed esplosiva d’Italia e lo chef più coinvolgente e libero che si possa immaginare e quindi uniteli per una sera: il risultato sarà la grande emozione di un sogno perenne che viaggia tra ricordi e futuro, un’esplosione di idee e di passione purissima. Non a caso l’aggettivo che trovo più calzante per Massimo Bottura è proprio “vulcanico”. Massimo Bottura e Napoli sono stati per una sera il connubio di un’Italia che cerca di passare dalla tradizione all’innovazione senza annichilire né l’una né l’altra, evolvendo semplicemente verso un concetto di cucina “nuovo”, per quanto non necessariamente complesso.

Lo chef emiliano dichiara apertamente che la sua principale fonte di ispirazione è l’arte contemporanea, a partire dalle gallerie modenesi come quella di Emilio Mazzoli e da artisti come Gino De Dominicis. Sono proprio Mazzoli e De Dominicis che, quasi per caso o piuttosto per destino, cambiano le prospettive professionali e umane di un cuoco. L’aneddoto riguarda il ritratto che un importante collezionista intendeva commissionare a De Dominicis ma che quest’ultimo non aveva particolare voglia di fare. Ebbene dopo le numerose insistenze il ritratto fu fatto in un solo secondo. Al centro di una grande tela bianca c’era un semplicissimo, minuscolo, puntino rosso fatto col pennello: “Ritratto di un collezionista visto da dieci kilometri di distanza”. La storia di Massimo Bottura e della sua Osteria Francescana parte da qui; da quel momento folgorante i tortellini, il cotechino e le sarde non furono mai più la stessa cosa; da allora la cucina di Bottura ha iniziato un dialogo fittissimo con l’arte contemporanea e con gli artisti, primo su tutti Maurizio Cattelan, vera fonte di ispirazione per lo chef modenese, specialmente in occasione della Biennale di Venezia del 1997.

Ecco che partendo dal rapporto stretto con l’arte e da una nuova interpretazione della cucina italiana la “Francescana” e il suo chef iniziano ad avere un rapporto nuovo con la tradizione, che nella nostra cucina rappresenta al tempo stesso un grande tesoro e un pesante fardello. E così via, valorizzare il Bel Paese andando oltre i confini italiani, in una filosofia professionale in cui “ricordare” e “cancellare”, “sapere” e “dimenticare” hanno la stessa valenza e la stessa importanza nella fondazione di un nuovo concetto culinario che trascenda ciò che si può definire semplicemente il buon cibo (quello lo facevano anche tutte le nostre nonne e madri) per andare incontro all’idea di buon cibo e di modernità nell’ideazione della proposta. La differenza sembra tanto sottile almeno quanto in realtà non lo è affatto. Guardare la tradizione a distanza, dagli ipotetici dieci km di distanza, era la nuova idea che avrebbe dato propulsione e nuova linfa alla Cucina italiana del presente e del futuro e avrebbe proiettato oltre i confini nazionali una nuova e più attuale immagine del nostro paese. Un’Italia dove la cultura non è solo appannaggio del passato ma è ancorata al presente e in continuo dialogo con il futuro.

Per questo la cucina di Massimo Bottura è un vero e proprio manifesto culturale e chiude splendidamente il cerchio ritornando ad essere Arte. Italiana. Autentica e Contemporanea. Essa non si limita ad essere innovativa; è irriverente, autoironica (l’ironia è una sottomarca del brand intelligenza), ricca di senso dell’humor e finisce col “citare” idealmente gli uomini più straordinari, come Enzo Ferrari o Walt Disney, nella convinzione con cui ricerca la realizzazione dei sogni. I piatti del menù dell’Osteria Francescana non sono elenchi di ingredienti né stucchevoli esaltazioni di tecnica fine a se stessa; sono fantasia ed estro immaginativo che danno vita a nomenclature quasi rivoluzionarie che trasformano il cliente in un Peter Pan che ordinerà pertanto “Tortellini che camminano sul brodo”, “Bollito non bollito”, “Un’anguilla che risale il Po’”, “Le lumache nella vigna”, “Tutte le lingue del mondo”, “Una patata che vuole diventare tartufo”, “Chicken, chicken, where are you?”, “Cannolicchio e i suoi amici”, “Camouflage: la lepre nel bosco”, “Come bruciare una sarda”, “Oops! Mi è caduta la crostata al limone”. Ogni piatto con una storia alle spalle che non è giusto raccontare solo tramite poche righe scritte.

Una cosa che mi ha molto colpito di Bottura è la totale assenza di autoreferenzialità: un pregio che viene esaltato dal continuo rimando all’italianità, alla sua terra, all’arte, alla famiglia, ai collaboratori che lo affiancano quotidianamente (tanto in cucina quanto in sala!!!) come se sentisse innato il bisogno di condividere il più possibile ogni successo e ogni intuizione vincente con tutto ciò che lo circonda. Bottura è venuto a Napoli e ci ha dato lo spunto per realizzare la miglior ricetta di sempre: interpretare il passato per superarlo in chiave critica e migliorativa, creare bellezza tutti i giorni e non vivere più soltanto di quella passata, trasformare la nostra tradizione in innovazione per uscire da una crisi che non è tanto economica quanto piuttosto culturale e di identità. Una “lezione” importante che va ben oltre l’ambito culinario e che ognuno di noi dovrebbe ricordare sempre, qualsiasi sia il suo ruolo in società.

La Cultura è l’ingrediente base per la ricetta di un’Italia che mangia con la testa e prova a smettere di farlo solo con la pancia. Creare bellezza e grazia è ciò che ci è sempre riuscito meglio e ad un appassionato di cucina come me non stranisce che debba essere un cuoco a ricordarcelo oggi.

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