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Livorno, contrae in ospedale super batterio e Covid poi muore. “Se crepo cercate di vederci chiaro”

Giovanni Mesini, 68 anni, è stato ricoverato il 14 dicembre all’ospedale di Livorno per una polmonite e per l’occlusione di un’arteria della gamba: nel nosocomio ha però contratto il superbatterio New Delhi e anche il Covid-19, morendo il 13 gennaio. L’uomo ha raccontato il suo calvario su Facebook tenendo un “diario” quotidiano e denunciando le carenze dell’assistenza ricevuta.
A cura di Davide Falcioni
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Giovanni Mesini, un uomo di 68 anni di Castelfiorentino, è morto lo scorso 13 gennaio dopo aver contratto il superbatterio New Delhi e il Covid-19: a rendere la sua vicenda surreale è però che il paziente ha contratto i due patogeni all'ospedale di Livorno, un luogo in cui avrebbe dovuto essere al sicuro e dove – invece – ha trovato la morte; non prima, però, di aver tenuto un accurato diario della sua degenza raccontando gli "incontri" con il batterio e il virus, i difficili rapporti con il personale sanitario e infine lanciando in appello ai familiari: "Se crepo, cercate tutti di vederci chiaro". La procura di Livorno ha disposto l'autopsia sul corpo del 68enne ed aperto un'inchiesta.

Giovanni Mesini era stato ricoverato il 14 dicembre: all'ospedale di Livorno c'era entrato lamentando un dolore a una gamba, un problema fastidioso che tuttavia sperava di poter risolvere velocemente. Da quel momento però è cominciato un vero e proprio calvario: in corsia ha infatti contratto contratto il superbatterio New Delhi e anche il coronavirus.

Il diario di Giovanni Mesini. "Sono imbestialito, ho beccato il covid in ospedale"

In un "diario" tenuto su Facebook il 68enne ha raccontato la sua lunga degenza annotando sfoghi e lamentale: "Incomincio a chiedermi, con i miei acciacchi che possibilità ho di sfangarla. Fortunatamente il tampone Covid risulta negativo", scriveva il 14 dicembre, quando gli era stata diagnosticata una polmonite e l'occlusione all'arteria di una gamba. Il 23 dello stesso mese le cose sembravano migliorare: "Inizia un lento ritorno alla normalità, vedo luce". Alcuni giorni dopo però in corsia contrae il batterio intestinale New Delhi e le dimissioni, che credeva imminenti, vengono rinviate. Il 6 gennaio, dopo la scoperta di un positivo al Covid i reparto, scopre di aver contratto anche lui la malattia. "Tante precauzioni quando ero fuori per beccarmelo in ospedale. Sono imbestialito. Già ero fuori dai gangheri per essermi preso un batterio ospedaliero, di quelli resistenti a tutto. Ora il Covid".

"Se crepo cercate tutti di vederci chiaro, eh"

Il 9 gennaio Giovanni racconta che nel reparto "l'igienizzazione viene fatta all'antica", "aprendo un po' le finestre", "alle 11 sono aperte dalla nottata" e qui "fa un discreto freddo. Chissà se lo sanno che c'è un bischero che cerca di uscire da una polmonite o che ha solo un batterio iperresistente ed è positivo al Coronavirus". Due giorni dopo racconta: "Senza respiratore difficilmente andrei avanti. L'ossigenazione è ai limiti ed è in peggioramento. Non è difficile la scommessa sull'esito finale. Pazienza. I miglioramenti delle settimane scorse mi avevano riconciliato con la vita. Ora si contano i giorni".

Gli ultimi sfoghi risalgono al 13 gennaio, poche ore prima di morire: "Devo fare pipì – scrive – e suono il campanello. Non viene nessuno e l'ossigenazione inizia a calare veloce. Alzo la mascherina e strillo ‘infermiere', arriva l'infermiera inc..a, dà un'occhiata al saturimetro e una al respiratore e – solerte – sistema tutto senza risparmiare una lavata di capo a me che, volendo inizialmente solo fare pipì, mi sono adeguato agli eventi. Questo tacitare il paziente senza ascoltarlo non so quanto sia corretto". Poi continua: "Si stacca la sonda del saturimetro. Tento due volte la riparazione, suono. Arriva l'infermiera. Sono occluso dal ventilatore e non posso urlare. Mi fa parlare a vuoto. Si avvicina, capisce la richiesta, promette soluzione che in 40 minuti non c'è". Poco dopo, ormai stremato, l'ultimo messaggio: "Stiano attenti che magari non sia la vittima a farla pagare al carnefice. Se crepo cercate tutti di vederci chiaro, eh?".

L'Asl ha aperto un'indagine interna

Il diario di Giovanni Mesini è un vero e proprio atto d'accusa verso i sanitari dell'ospedale di Livorno. Per questo l'Asl Toscana Nord Ovest intende fare chiarezza ed ha fatto sapere in una nota di aver avviato "un audit interno anche in base alla denuncia del paziente, contenuta nel suo diario sulla degenza, per capire se l'assistenza prestata sia stata carente sia da un punto di vista umano, sia da un punto di vista sanitario" e per capire "se ci sono stati problemi nella gestione medico-sanitaria durante la degenza".

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