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Le tre vite di Donato Bilancia, il serial killer condannato a 13 ergastoli accusato di 17 omicidi

La storia di Donato Bilancia, il più sanguinario assassino seriale d’Italia: uccise ben 17 persone tra il 1997 e il 1998. La sua vita è stata caratterizzata da varie fasi: l’infanzia difficile, l’ossessione per il gioco d’azzardo, gli omicidi, la redenzione in carcere.
A cura di Lorenzo Bonuomo
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Donato Bilancia
Donato Bilancia

La stampa lo aveva soprannominato "il mostro dei treni" o "Jack lo squartatore italiano", ma Donato Bilancia di vittime ne ha fatte molte di più rispetto al "collega" britannico. E in un arco di tempo spaventosamente breve. A causa della paura e del clamore mediatico suscitato dai suoi omicidi, Ferrovie dello Stato decise addirittura di blindare i convogli nel 1998.

Donato Bilancia è stato "il più killer tra i serial killer" italiani: nel giro di soli sei mesi, tra l'ottobre del 1997 e l'aprile del 1998, ha ucciso 17 persone, tra cui nove uomini e otto donne. Una scia di sangue senza eguali nella storia del Paese. Bilancia stesso l'ha definita "la mia consecutio temporum". Arrestato nel maggio del '98, in seguito al processo Bilancia è stato condannato alla pena record di 13 ergastoli e 16 anni di carcere.

Morì di coronavirus all'ospedale universitario di Padova, all'età di 69 anni, nel dicembre 2020. Dopo essere stato trasferito nella struttura sanitaria dal carcere "Due Palazzi" della stessa città veneta, Bilancia avrebbe rifiutato le cure mediche: un atto di protesta contro il mancato permesso premio da parte dei giudici del Tribunale di Sorveglianza, che l'uomo riteneva "colpevoli" di non aver compreso i suoi sforzi per cambiare.

"È una delle storie più oscure, più coinvolgenti, più spaventose, ma forse anche più istruttive sul lato oscuro della natura umana", ha dichiarato il regista Pino Corrias, autore di un docufilm dedicato al più sanguinario omicida della cronaca nera italiana.

Ripercorrere le tappe della sua vicenda, è come scendere in un angusto cono d'ombra di rabbia e follia. Un gradino dopo l'altro giù, nel profondo abisso del male.

Chi è Donato Bilancia, il serial killer condannato a 13 ergastoli

Donato Bilancia
Donato Bilancia

Nasce a Potenza il 10 luglio 1951, figlio di un dipendente pubblico e di una casalinga inerte, con la famiglia si trasferisce prima ad Asti, poi a Capaccio in provincia di Salerno e infine a Genova nel 1956. Donato cresce insieme genitori e con il fratello maggiore, ma con i familiari non avrà mai un rapporto sereno. Lui stesso lo avrebbe definito in seguito "un inferno" la vita tra le mura domestiche. Tra i litigi e le punizioni da parte del padre.

Va male a scuola, e infatti la lascia dopo aver ripetuto tre volte la terza media. Svolge diversi lavori: meccanico, panettiere, barista. Ma la vocazione principale del giovane è il crimine: nel 1971 il Tribunale di Cuneo lo condanna a tre mesi di reclusione, sempre per furto. Lo stesso avviene nel 1974 e nel 1976.

In quegli anni, Donato ruba macchine per strada e oggetti di valore negli appartamenti e nelle gioiellerie. Ma nulla a confronto di quello che sarebbe accaduto di lì a una ventina di anni.

Nel 1987 un evento traumatico segna la sua vita per sempre: nel marzo di quell'anno, il fratello maggiore Michele prende in braccio il figlio e si suicida, gettandosi sotto un treno sulla linea Genova – Ventimiglia. La moglie Ornella Coccorocchio, 29 anni, voleva separarsi da lui e aveva chiesto ai giudici l'affidamento del piccolo Davide tramite il suo legale. Cosa che aveva fatto sprofondare Michele nella disperazione.

Quell'episodio è come un fiammifero acceso scagliato sulla manciata di polvere da sparo della psiche già disturbata di Donato: da qui – stando a quanto emerso dalle perizie psichiatriche successive – nell'uomo inizia a germogliare un tremendo odio, viscerale e profondo, contro le donne.

I primi delitti legati al vizio del gioco

Bilancia è un "lupo solitario", non vuole complici e lavora da solo. Frequenta il Casinò di Sanremo, così come le bische clandestine, le prostitute e vari personaggi della malavita locale. Si fa chiamare in giro "Walter". È un giocatore d’azzardo patologico: è in grado di vincere milioni di lire in una sera come di scialacquare tutto il giorno dopo. Ha solo un amico. O meglio, è convinto lui lo sia: si chiama Maurizio Parenti. I due vanno spesso a giocare d'azzardo insieme.

Una sera del 1997, avviene il secondo grave episodio, dopo la morte del fratello e del nipotino di appena quattro anni, che segnerà per sempre il destino di Donato Bilancia: per puro caso, l'uomo sente Parenti vantarsi con il padrone di una bisca per avergli portato “quel pollo di Bilancia". Scopre che i due lo avevano raggirato, sottraendogli quasi 500 milioni di lire in un mese di gioco truccato.

Per Bilancia quelle parole sono uno shock: quella notte, la polveriera della sua testa esplode come una bomba innescata. E Donato scivola sempre di più nel baratro del rancore e della sete di vendetta. Contro il suo "amico". Contro le donne. E contro il resto del mondo attorno a lui.

La sua prima vittima è proprio il proprietario della bisca che aveva tramato alle sue spalle con Parenti: Giorgio Centanaro. Il 16 ottobre 1997 gli entra in casa, gli tappa la bocca con del nastro adesivo e lo soffoca. Mentre lo fa, gli spiega pure il perché.

Il 24 ottobre seguente è il turno di Parenti, che assassina insieme alla moglie Carla Scotto. Bilancia ruba anche 13 milioni di lire e alcuni orologi dall'abitazione della coppia. Da quel momento in poi, Bilancia ci prende gusto e la sua sete di sangue non si ferma più, alimentata da un sinistro senso di onnipotenza.

Tre giorni dopo uccide un'altra coppia, i due orefici Bruno Solari e Maria Luigia Pitto, con le stesse modalità dei delitti precedenti. Poi, il 13 novembre, rapine e uccide Luciano Marro, un cambiavalute a Ventimiglia. Il 25 gennaio del 1998 uccide invece il metronotte Giangiorgio Canu, solo per risentimento verso le forze dell'ordine. Il 20 marzo successivo tocca a un altro cambiavalute: Enzo Gorni.

Il serial killer delle prostitute, Donato Bilancia odiava le donne

Di donne, dopo Carla Scotto, Bilancia ne uccide altre sei. Nel suo scontornato disegno criminale, l'ultima sarebbe dovuta essere proprio Ornella, l'ex cognata. Buona parte sono prostitute e il rituale è quasi sempre lo stesso: giacca in testa e colpo di pistola. Tolti quelli di Scotto e Pitto, gli omicidi delle donne avvengono tutti nel 1998.

Il 9 marzo spara e uccide a Varazze l'albanese Stela Truya, con cui s'era appartato. Il 18 marzo seguente, a Pietra Ligure, assassina con un colpo in testa l'ucraina Ljudmyla Zubskova.

Il 24 marzo tenta di uccidere una donna transessuale in una villa di Novi Ligure, Lorena Castro, che però riesce a fuggire e ad andare dalla polizia e a fornire il primo identikit dell'uomo alle forze dell'ordine. Nella circostanza, Bilancia uccide altri due metronotte che avevano cercato di fermarlo, Massimiliano Gualillo e Candido Randò.

In quel periodo, Bilancia è ricercato dagli inquirenti di almeno cinque Procure diverse: Genova, Imperia, Savona, Sanremo e Alessandria.

Il 29 marzo, a Cogoleto, mette fine alla vita di Tessy Adodo, prostituta nigeriana. L'omicidio di Adodo segna una svolta per gli investigatori, che da tempo vagavano con indizi frammentati alla caccia del serial killer. I Ris di Parma riconoscono infatti l'arma utilizzata da Bilancia anche per i delitti precedenti: una Smith & Wesson calibro 38. Il 14 Aprile '98 tocca invece a una prostituta macedone: Kristina Valla. 

Gli ultimi omicidi sui treni

Un altro soprannome per Bilancia in quei sei mesi di follia è "il killer dei treni". E non è un caso.

Il 12 aprile '98, sull'Intercity La Spezia-Venezia, scassina la porta del bagno del vagone e uccide Elisabetta Zoppetti, un'infermiera milanese dell'Istituto Nazionale dei Tumori. Da quel momento, Bilancia viene soprannominato dai media "il mostro della Liguria". L'intero Paese segue gli sviluppi del caso nel panico più totale.

Il 18 aprile l'ultima vittima su un treno, sulla tratta Genova-Ventimiglia: qui assassina la babysitter Maria Angela Rubino e si masturba sul suo cadavere. Il 20 aprile in un'area di servizio sull'autostrada Genova-Ventimiglia nel comune di Arma di Taggia, si compie l'ultimo dei delitti di Bilancia, quando rapina e uccide il benzinaio Giuseppe Mileto, perché si rifiuta di fargli credito per un pieno di benzina.

L'arresto e la vita in carcere

L’identikit fornito da Lorena, la testimonianza di un'altra donna miracolosamente graziata dall'assassino, l’identificazione di una Mercedes nera usata durante i delitti e il racconto di un uomo, Pino Monello, che gli aveva venduto un’auto del tutto simile senza passaggio di proprietà. Questi gli elementi decisivi che conducono gli inquirenti al riconoscimento e all'arresto di Bilancia.

Bilancia era solito accodarsi all’auto che lo precedeva ai caselli autostradali, per evitare il pedaggio. Vistosi inondato di contravvenzioni, Monello lo denuncia, innescando involontariamente le ricerche dei carabinieri, che stavano proprio cercando una Mercedes, su segnalazione della Castro. Da un caffè bevuto al bar e dal mozzicone di una sigaretta, i carabinieri identificano il DNA del sospettato chiudono il cerchio: Donato Bilancia viene arrestato la mattina del 6 maggio 1998 davanti all'ospedale San Martino di Genova, senza alcuna resistenza da parte sua.

Quando si siede davanti al Pubblico Ministero, Enrico Zucca, l'assassino seriale esordisce affermando: "Se volete che vi racconti la mia storia, dobbiamo cominciare dall’inizio. E l’inizio non è un omicidio, non sono otto omicidi, ma diciassette”. Ammette dunque tutti gli omicidi, compreso il primo, quello del biscazziere Centanaro, che era stato inizialmente considerato deceduto per cause naturali.

Bilancia è stato preso in esame negli anni da almeno una dozzina di psichiatri. Secondo loro, crudeltà e piacere si intrecciano nel movente dei suoi delitti, compiuti per ragioni futili o senza ragione alcuna. Tutti legati tra loro da un unico filo rosso: il puro odio. Per disamore, solitudine e rancore verso il prossimo.

Reo confesso, nell'aprile del 2000 il Tribunale di Genova lo condanna a 13 ergastoli e 28 anni di prigione. Bilancia trascorre 20 anni recluso nel Due Palazzi di Padova. Prima da detenuto isolato e solitario, a causa delle minacce da parte degli altri detenuti. Poi l'ergastolano è protagonista di una lenta risalita: il pentimento, lo studio, il diploma di ragioneria nel 2016, la collaborazione con il gruppo teatrale del carcere, l'iscrizione a un corso di laurea in "Progettazione e gestione del turismo culturale". Inizia perfino a pregare.

A partire dal 2011 Bilancia inizia a versare parte della sua pensione civile (poco più di 500 euro mensili) a un bambino con sindrome di Down e altre disabilità, ospite dell'Opera della Provvidenza S. Antonio, a Rubano, e a una famiglia siciliana con tre figli disabili. In questa fase "Diventa una specie di uomo ‘perbene' e questo accende una piccola luce in questa storia nera", ha detto il giornalista Renato Pizzini, che ha collaborato al docufilm di Corrias.

Donato Bilancia morto di Covid il 17 dicembre 2020

La storia del più sanguinario serial killer d'Italia finisce il 17 dicembre 2020 all'ospedale universitario di Padova. Qui, muore a seguito di complicazioni di salute dopo aver contratto il Covid-19, dopo lo scoppio di un focolaio nel penitenziario dove era detenuto: solo per Bilancia si rende necessario il ricovero.

“Andrò all’inferno, ma chiederò a Dio un attimo per chiedere scusa alle vittime”, sarebbero state le ultime parole pronunciate da "Walterino" al suo confessore del carcere.

In ospedale Bilancia rifiuta le cure del personale medico, come manifestazione di protesta verso i giudici della corte di Cassazione del Tribunale di Sorveglianza: questi gli avevano di recente negato il permesso di visitare il bambino disabile da lui sostenuto.

"È stato il suo modo di alzarsi dal tavolo verde della vita, come fanno i giocatori d’azzardo, quando finalmente perdono tutto”, ha detto in proposito il regista Corrias, in merito agli ultimi istanti di vita dell'ergastolano.

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