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L’allarme per il Po senza acqua: “A rischio un terzo della produzione nazionale”

Non piove da oltre tre mesi, la neve sulle Alpi scarseggia e fa sempre più caldo: ecco perché il “Grande Fiume” è irriconoscibile e gli agricoltori devono ricorrere a irrigazioni straordinarie.
A cura di Beppe Facchini
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Assenza di piogge da oltre cento giorni (più di tre mesi), ma anche scarsità di neve sulle Alpi, necessaria per rifornire le scorte naturali garantite solitamente dai grandi laghi del Nord Italia, e continuo aumento delle temperature. Il fiume Po soffre più che mai i cambiamenti climatici e si ritrova da settimane ad affrontare una situazione di siccità senza precedenti. O meglio, i livelli attuali registrati nelle stazioni di monitoraggio hanno raggiunto i picchi in negativo più alti degli ultimi cinquant'anni. Una secca così non si vedeva dal 1972, il deficit di pioggia è superiore ai cento millimetri (-92%) e le conseguenze di tutto ciò rischiano di ricadere solo sul comparto agricolo, che a livello nazionale potrebbe perdere fino a un terzo dell'intera produzione in avvio, ma anche sul “corridoio ecologico più importante del nostro Paese” rappresentato dal “Grande Fiume”, grazie alla sua biodiversità unica in tutto lo stivale. A sottolinearlo è Andrea Gavazzoli, responsabile relazioni istituzionali dell'Autorità di Bacino distrettuale del Po, l'ente pubblico, con sede a Parma, che opera sotto la vigilanza del Ministero della Transizione ecologica. Le telecamere di Fanpage.it lo hanno incontrato a Boretto, in provincia di Reggio Emilia: qui si trova un importante impianto idrovoro, gestito dal Consorzio di Bonifica dell'Emilia Centrale, che solitamente consente di irrigare 220mila ettari di colture tipiche, ma che a causa della secca deve tenere spente le sue pompe, con due escavatrici a lavoro costante da settimane per spostare la sabbia e cercare, con fatica, di far arrivare almeno qualche goccia d'acqua negli ingranaggi dell'impianto.

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“Ci sono i momenti di magra invernale, ma mai così: sembra un deserto” dice Gavazzoli, che sulle temute conseguenze al settore agricolo aggiunge: “Sarebbe un danno anche per il Pil, soprattutto in questo momento geopolitico non facile e soprattutto ora che si è in ripresa dal covid”. Parlando inoltre di “emergenza estrema” che ha caratterizzato in primis la fascia occidentale padana e il Piemonte, scendendo “via via verso valle e ora in arrivo fino al delta”, Gavazzoli snocciola quindi dei dati: “Rispetto alla scorsa settimana, che già aveva fatto registrare dei cali importanti, le quote rilevate hanno avuto un ulteriore calo della risorsa idrica disponibile fino al 5% nelle stazioni di Piacenza, oggi a -70% (ed è un record, non c'era mai arrivato) e Cremona a -62% (rispetto al -57% della settimana precedente). Bastano cinque o sei giorni per incrementare la percentuale ogni volta”.

Pure tutte le stazioni di monitoraggio continuano a registrare cali preoccupanti, ma “le portate sono calate anche perché gli affluenti non hanno portato il 75% di acqua che di solito portano, sono effettivamente vuoti”. Sia quelli alpini che quelli appenninici. Quindi non ci sono scorte d'acqua? “No. E il magazzino principale, diciamo, che era il Lago Maggiore, adesso ha un livello effettivamente non sufficiente a compensare questo gap. La speranza è che si torni al più presto a contare anche sull'apporto delle precipitazioni, però vediamo che le previsioni non sono particolarmente ottimistiche” continua Gavazzoli. È chiaro che molto dipende anche da come piove e dove in maniera più consistente, considerato che finora le poche nubi viste sulla Pianura Padana e dintorni hanno portato a brevi e poco intense perturbazioni, fra l'altro a macchia di leopardo.

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La situazione attuale non permette neppure la navigazione di un fiume, da secoli vissuto come un vero e proprio mare da queste parti, ma a risentirne maggiormente è senza dubbio il comparto agricolo, coi contadini costretti a irrigazioni straordinarie per evitare perdite eccessive nei loro raccolti. “Con l'aumento del costo del gasolio e dell'energia, significa che per noi c'è un aggravio ulteriore” sottolinea Morena Pioli, responsabile economico di Coldiretti Reggio Emilia. “Nei nostri terreni, prettamente foraggeri, è importantissimo cercare di immettere acqua -spiega-. Inoltre adesso la raccolta di alcune colture potrebbe essere compromessa e posticipata. Nell'immediato servono quindi aiuti alle aziende per sostenere i costi dovuti all'aumento dei prezzi, anche se molte aziende, comunque, hanno già cercato di ridurre i consumi con irrigazione a goccia”. “Nel breve -le fa infine eco Gavazzoli- la soluzione più immediata è quella di anticipare, per quello che si può, l'irrigazione, con la possibilità da parte delle Regioni di concertare con gli stakeholder delle deroghe, mentre nel lungo periodo ci possono essere azioni molteplici. Ad esempio, raccogliere l'acqua quando c'è attraverso la creazione di invasi e recuperare le acque reflue: dovrebbe diventare la prassi”.

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