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Covid 19

La variante brasiliana è presente al 4,3% in Italia, perché è un problema

La variante brasiliana è responsabile secondo i dati della Cabina di regia del 4,3% dei nuovi casi in Italia, seppur concentrati tra Umbria, Lazio e Toscana. Secondo Franco Locatelli (Cts) “ci sono segnalazioni da parte dei colleghi brasiliani di soggetti che si sono reinfettati. Ma non c’è nessuna pubblicazione scientifica che abbia verificato questo tipo di informazione”. Il che potrebbe rappresentare un problema per i vaccini.
A cura di Ida Artiaco
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Se la variante inglese è diventata dominante in Italia, come ha confermato il professor Silvio Brusaferro dell'Istituto superiore di Sanità in conferenza stampa con i ministri Speranza e Gelmini per presentare il nuovo Dpcm anti Covid in vigore fino a Pasqua, a preoccupare è anche quella brasiliana (P.1). A quest'ultima è dovuto il 4,3% dei nuovi casi nel nostro Paese, di cui i dati evidenziano una "chiara espansione geografica dall'epicentro umbro a regioni quali Lazio e Toscana". Ma perché questo tipo di mutazione spaventa così tanto gli esperti? A rispondere a questa domanda ci ha pensato Franco Locatelli, numero uno del Consiglio superiore della Sanità oltre che membro del comitato tecnico scientifico e riguarda la sua capacità di resistere o meno ai vaccini al momento disponibili.

Le caratteristiche della variante brasiliana Covid

"Sappiamo da tempo che la variante inglese non mostra resistenza all'effetto protettivo indotto dalla vaccinazione con tutti e tre i vaccini oggi disponibili nel Paese. Per quel che riguarda invece la variante brasiliana va segnalato che ci sono segnalazioni da parte dei colleghi brasiliani di soggetti che si sono reinfettati. Ma non c’è nessuna pubblicazione scientifica che abbia verificato questo tipo di informazione. Ed è tuttavia importante sottolineare che anche in presenza di eventuali reinfezioni, di fatto queste eventuali reinfezioni non si dovrebbero connotare con forme di particolare gravità". Con queste poche parole sempre Locatelli ha spiegato perché la variante brasiliana, che si è diffusa nei mesi scorsi a Manaus, nello stato di Amazonas, tra i più colpiti del Paese sudamericano durante la prima ondata della pandemia, deve essere immediatamente individuata e arginata. Mancano tuttavia dati certi per classificare questo ceppo, che è poco diffuso nel mondo a differenza degli altri due, basti pensare che secondo i dati ufficiali depositati nel database internazionale GISAID ci sono 417 sequenze da 25 Paesi, mentre la sudafricana ne conta 2.361 su 48 Paesi e l’inglese 116.303 su 94 nazioni.

La questione delle reinfezioni

Tuttavia, ci sono studi effettuati in laboratorio con virus che presentano la mutazione E484K, comune alle varianti che già conosciamo, che ci dicono che la variante brasiliana è capace di rendere gli anticorpi meno efficaci, il che vuol dire, per l'appunto, anche causare casi di reinfezione. Come la variante inglese, anche la brasiliana può infettare più persone, si stima sia tra 1,4 e 2,2 volte più trasmissibile rispetto al coronavirus originario. Altri calcoli fatti dal team di Nuno Faria, virologo all’Imperial College di Londra, sostengono anche che la probabilità di reinfezione potrebbe comprendere tra 25 e 61 persone su 100 precedentemente infettate da lignaggi non P.1 a Manaus l’anno scorso, il che potrebbe avere di conseguenza anche un impatto sull'efficacia dei vaccini. I ricercatori hanno infatti ha monitorato la mutazione nella città di Manaus da dicembre. All’inizio di gennaio, la variante costituiva l’87% dei campioni, mentre già a febbraio aveva preso il sopravvento completamente.

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