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La lettera di un quindicenne al boss di ‘ndrangheta: «Sono a disposizione»

Tra le carte della maxi-operazione “Mandamento Jonico” (che ha portato in carcere 116 persone e ne ha indagato 291) sbuca la vicenda di un quindicenne che scrive una lettera per un boss in carcere chiedendo di potersi affiliare. Lo scambio avviene con la figlia nei corridoi della scuola. Ed è la fotografia della forza della ‘Ndrangheta e della sua inarrestabile fascinazione.
A cura di Giulio Cavalli
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È una di quelle notizie minuscole che tengono in pancia messaggi giganteschi e racconta un pezzo di Italia in modo più appuntito di qualsiasi studio o convegno.

Siamo all'intervallo della giornata scolastica all'istituto professionale per l'artigianato di Siderno e un ragazzo di quindici anni consegna una lettera a una compagna facendole intendere che è importante, se per favore può farla avere al padre. Sono due ragazzini che si incrociano in un corridoio ma lì, i loro cognomi sono cognomi che pesano. Lei, Alessandra, è figlia di Antonio Cataldo detto "Pappuzzella", il boss di Locri che dal carcere riesce ancora a pesare nello scacchiere criminale e anche lui ha un cognome importante: “Buongiorno carissimo, come va? – scrive il ragazzo rivolgendosi al boss – Spero tutto bene! Scrivo questa lettera perché per vari motivi non lo si può vedere… il motivo principale è che io sottoscritto vorrei mettermi a disposizione per voi e la vostra famiglia”.

Mettersi a disposizione, in terra di ‘Ndrangheta ha un solo significato: affiliarsi. Il boss è colui che, grazie alla sua benevolenza, può permetterti di svoltare, arricchirti, darti protezione. E anche a 15 anni è difficile resistere al fascino.

“Gli adolescenti locali lo considerano un modello a cui ispirarsi – scrivono i pm Antonio De Bernardo, Francesco Tedesco e Simona Ferriuolo nel decreto di fermo dell'operazione "Mandamento Jonico", che ha portato all'arresto di 116 persone (291 gli indagati) coordinati dal procuratore Federico Cafiero De Raho – per conseguire rispetto e potere, percorrendo la strada dell’illegalità.
 La vicenda è talmente paradossale che permette di comprendere ancor meglio la portata del fenomeno mafioso a Locri. Di norma infatti, i ragazzi di quell’età si rispecchiano in tutt’altra tipologia di personaggi, invece nella Locride è il boss a costituire il modello di riferimento”.

“È evidente – scrivono – che la cultura mafiosa è talmente radicata in quel tessuto sociale che coinvolge finanche l’istituzione scolastica che, in quanto tale, dovrebbe essere avulsa da tali contaminazioni. E invece, nel caso di specie, è stata proprio la scuola il vettore attraverso cui la richiesta di ‘affiliazione’ all’organizzazione mafiosa da parte di un quindicenne è stata veicolata al capo della cosca Cataldo”.

L'episodio, accaduto il 14 marzo del 2015, ha innervosito non poco la figlia del boss, disturbata per così poco. Intercettata mentre ne parla con la madre dice: “Io non gli faccio vedere proprio niente (al padre, ndr)…quindici anni c'ha questo ragazzo! È venuto a portarmela in classe. Ma stiamo scherzando? La parentela da dove gli è uscita? Io la butto pure questa lettera. Che all'inizio me l'è venuto a dire la bidella, dicendomi ‘vedi che ti cerca tuo cugino…'. Io le ho detto che non siamo cugini, non so da dove gli è uscita questa cosa”.

Nonostante l'accaduto non sia una reato il tentato casting per farsi assumere dalla ‘Ndrangheta è una sconfitta per lo Stato e uno schiaffo (l'ennesimo) per la cultura della legalità: ci sono luoghi e settori in cui le mafie sono vissute come più convenienti, affidabili e affascinanti dello Stato: questo è l'anello da spezzare e per farlo non bastano gli arresti e le condanne. No. «Ava cchiu sordi do Stato» ("ha più soldi dello Stato") dicevano i compaesani di Africo di Giuseppe Morabito detto ‘U Tiradrittu per la precisione con cui sparava, ufficialmente semplice dipendente del Corpo Forestale e in realtà potente boss della ‘Ndrangheta fin dagli anni '80. Tra le carte dell'operazione "Mandamento Jonico" questa volta incede si incappa nel figlio, Giuseppe Morabito, 38 anni e l'eredita criminale del padre. In un'intercettazione telefonica urla stentoreo «Lo Stato sono io qua, Pé… Controlla… La mafia, la mafia originale, non la scadente». E poi: «Altro che "corleonesi", che sono infami che hanno trattato con lo Stato! Ancora noi non abbiamo trattato! E quando tratto, mi impicco nella cella!». Fedele alla linea: «I tiradritto muoiono in cella».

Ecco perché le mafie (‘Ndrangheta in testa) sono in ottima salute: funzionano negli affari, nel brand (che ingolosisce finanche i quindicenni) e nell'esibizione urlata della propria impunità (dalle indagini si viene a sapere che sono riusciti a infilarsi persino negli appalti per la costruizione del Palazzo di Giustizia di Locri). Il fronte è vasto. E alla magistratura spetta solo un pezzo. Il resto è politica, cultura e noi. Noi.

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Autore, attore, scrittore, politicamente attivo. Racconto storie, sul palcoscenico, su carte e su schermo e cerco di tenere allenato il muscolo della curiosità. Collaboro dal 2013 con Fanpage.it, curando le rubriche "Le uova nel paniere" e "L'eroe del giorno" e realizzando il format video "RadioMafiopoli". Quando alcuni mafiosi mi hanno dato dello “scassaminchia” ho deciso di aggiungerlo alle referenze.
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