“A Lampedusa barconi carichi di bimbi soli, in fuga dalla fame”: intervista a Nicola Graziano, presidente Unicef Italia

«A Lampedusa ho visto barconi carichi di bimbi arrivati da soli dai paesi del Sud del mondo. Senza genitori, senza nessuno, navigano per giorni in barche di vetroresina con motori da 40 cavalli, stipati in spazi di mezzo metro di altezza. Un viaggio della speranza dalla Libia per 70-80 miglia in mare aperto, per cercare fortuna in Italia e poi in Europa. Alcuni, quando arrivano, hanno le gambe ustionate, per essere rimasti immersi nell'acqua di mare mista a benzina. Scappano da fame e guerra. Vogliono solo lavorare. Nei loro occhi ho visto paura, fatica e speranza. Sono quasi 40mila gli sbarchi dall’inizio del 2025. Questo dei minori stranieri non accompagnati è un fenomeno esteso e attuale. È un dramma che l'Italia deve conoscere».
È la testimonianza a Fanpage.it di Nicola Graziano, giudice napoletano con una lunga esperienza nel recupero di beni confiscati alla criminalità organizzata. Da maggio Graziano è presidente di Unicef Italia, incarico per il quale ha rinunciato a stipendio e rimborsi. «Sono arrivato alla presidenza di Unicef – racconta – dopo un lungo percorso di volontariato e poi nel consiglio direttivo. È un grande onere ma anche un grande onore essere presidente del comitato dell’Unicef».
L'Unicef è l'agenzia delle Nazioni Unite che difende i diritti dei bambini in tutto il mondo. Come siamo messi in Italia?
I dati sulla povertà in Italia sono allarmanti: 2 milioni e mezzo di bambini italiani sono a rischio povertà. Quasi mezzo milione solo in Campania. Noi ci occupiamo di loro con diversi programmi, ma assistiamo anche i bimbi in difficoltà nel resto del mondo: oltre 200 milioni soffrono la fame e hanno bisogno di assistenza umanitaria. Ci sono 56 fronti di guerra aperti. Le donazioni aiutano a fare tantissimo. E Unicef è in campo in tutte le crisi umanitarie. In Italia siamo impegnati contro la dispersione scolastica che va in contrapposizione a quello che è un diritto fondamentale della Costituzione: quello dell'istruzione, della conoscenza e della cultura. Gli articoli della Costituzione sulla scuola dell'obbligo sono violati. Un altro fenomeno che stiamo monitorando riguarda l'abbassamento dell’età lavorativa.
In che senso?
Anche in Italia stiamo assistendo a ragazzini che entrano nel mondo del lavoro sempre prima. Il merito dell'Unicef, e lo dico con orgoglio, è stato di aver creato un osservatorio per il lavoro minorile. Abbiamo registrato un aumento tra il 2021 e il 2025 di circa 30mila ragazzi minorenni, tra i 15 e i 17 anni, che lavorano. Ad oggi sono circa 80mila, di cui 5mila in Campania. Questo comporta un grande rischio per gli infortuni sul lavoro. Abbiamo un tasso di denunce di infortuni per lavoratori minorenni che in Piemonte supera il 50%. È un problema che va affrontato, perché è chiaro che la Costituzione italiana riconosce il diritto al lavoro, anche minorile, ma bisogna avere formazione.
Molti non lo sanno. Da che età si può cominciare a lavorare in Italia?
Il nostro codice civile parla di un'età minima di 14 anni. Ma io sono convinto che ci siano dei tipi di lavoro che non si possono fare. Per esempio tutti quelli che richiedono grande sforzo, che implicano una energia fisica considerevole. Il tutto deve essere reso compatibile con l'educazione scolastica che non può essere messa da parte.

Tornando all'inizio del discorso, una delle categorie più fragili dei ragazzi in difficoltà è quella dei minorenni stranieri non accompagnati (Msna). Tanti bambini migranti che vengono spesso dal Sud del mondo e sono soli. Cioè arrivano sul territorio italiano e non hanno nessuno. Chi sono, da dove vengono e che fine fanno?
Nel 2024 i posti attivi nei Sai in Italia per questi ragazzini erano circa 6mila. L'Unicef ha un ufficio specifico che si occupa di loro che si chiama E-Caro. È un fenomeno purtroppo esteso e attualissimo. A Lampedusa quest'anno ci sono stati quasi 40mila sbarchi, la maggior parte sono minori stranieri non accompagnati che arrivano dalla Libia. Ho visto negli hotspot circa 800 ragazzi per la maggior parte egiziani. Per disperazione vengono mandati in Europa dai genitori per trovare lavoro e per poi assistere le loro famiglie. Chi ce la fa riesce poi a mantenerle.
È veramente una grande sfida perché il mare aperto può essere tiranno e strappare la vita. Questi ragazzi arrivano i barconi di fortuna, in vetroresina, con motori di 40 cavalli, che poi vengono sequestrati. Se non accade quello che è accaduto qualche giorno fa, quando un barcone si è rovesciato e ci sono state persone che hanno perso la vita: è morta una donna incinta e sono andati dispersi dei giovani.

Molti sbarcano proprio a Lampedusa, dove sono assistiti nell’hotspot, per poi essere portati in Sicilia e in Italia nei centri di prima accoglienza. L'Italia li accoglie e in qualche modo assicura loro la prima assistenza e poi una educazione anche al lavoro, perché possano essere inquadrati nella speranza di poter garantire loro un futuro. Hanno un permesso provvisorio fino a 21 anni e poi cercano la loro strada e la loro vita.
Dall’altra parte ci sono gli angeli della capitaneria di porto che sono in mare quotidianamente per evitare queste tragedie. A loro va un grande plauso. Io li ho visti e li ho conosciuti. Sono persone impegnate nella prima emergenza che veramente hanno a cuore la sensibilità di questi ragazzi e la loro vita.
Uno dei temi più importanti di cui si occupa l'Unicef è quello dei bambini che si trovano al in paesi di conflitto. Cosa sta facendo Unicef Italia?
I numeri sono spaventosi. In Ucraina dall’inizio del conflitto sono morti o feriti quasi 3mila bambini, moltissimi sono sfollati. Quasi 4 milioni di bambini hanno perso almeno uno dei due genitori. Noi abbiamo portato con Unicef Italia quasi 13 milioni di aiuti. Ma adesso sta arrivando l’inverno e ci stiamo già preparando per fornire assistenza per le carenze dei servizi, come il riscaldamento, le scuole. È il quarto anno consecutivo che interveniamo per assicurare l’anno scolastico ai bimbi ucraini.
L’altro fronte è quello di Gaza, speriamo che la pace e la tregua possano durare, ma la guerra ha lasciato dei segni importanti. Ci sono 64mila bambini nella Striscia di Gaza che sono morti o feriti. Ci sono dati impressionanti, come 320mila bambini che sono a rischio malnutrizione. E ci sono tantissimi problemi legati alla distruzione di ospedali e di scuole. Lì, i nostri volontari hanno garantito la formazione con le temporary school, offrendo kit di prima assistenza. Al momento dell’annuncio della tregua, Unicef era già pronta con 1.300 camion per entrare nella Striscia e dare la prima assistenza.