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Covid 19

Il racconto di un italiano emigrato a Shanghai: “L’unico vaccino al Coronavirus è il senso civico”

Tornato momentaneamente in Italia all’inizio dell’epidemia in Cina, e rientrato a Shanghai quando in Italia si stava iniziando a fare i conti col Coronavirus, un ragazzo italiano – che ha chiesto di rimanere anonimo – racconta a Fanpage.it la sua testimonianza sulla differenza di gestione dell’emergenza tra i due Paesi e i rispettivi popoli.
A cura di Filippo M. Capra
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Tornato momentaneamente in Italia all'inizio dell'epidemia in Cina, e rientrato a Shanghai quando in Italia si stava iniziando a fare i conti col Coronavirus, un ragazzo italiano – che ha chiesto di rimanere anonimo – racconta a Fanpage.it la sua testimonianza sulla differenza di gestione dell'emergenza tra i due Paesi e i rispettivi popoli.

Denunce penali: In Cina non hanno mai ventilato la minaccia di farle

"Quando un vaccino non c'è, l'unico vaccino è il senso civico e il rispetto delle regole", assicura la fonte che da qualche giorno insieme a tutta la cittadinanza dell'Hubei è potuto tornare, gradualmente, alla vita di sempre pur ricordando che "chiunque continua a indossare una mascherina nonostante non ci sia più l'obbligo di farlo". Dalla sua casa di Shanghai, ci racconta delle differenze riscontrate tra la gestione dell'epidemia (poi trasformatasi in pandemia) in Italia e in Cina: "Da noi (in Italia, ndr) c'è stato un esodo non controllato mentre in Cina il magico farmaco giapponese (il discusso Avigan, ndr) è stato restare a casa", spiega. Tutto, o buona parte di esso, è sempre stato nelle mani dei cittadini prima ancora che delle istituzioni: "In Cina nessuno ha mai imposto sanzioni anche penali per la violazione della quarantena a differenza di quanto accaduto in Italia. Se nemmeno la minaccia di essere denunciati a livello penale ferma le persone, mi chiedo cosa possa farlo". Certo, molti si interrogano sul sistema politico cinese, spesso accostato ad una forma di dittatura che tiene in scacco la popolazione. Ma su questo, chiarisce: "Questa tesi mi incuriosisce perché si cerca di spostare il problema su un piano politico sociale per giustificare la mancanza di rispetto di alcune regole col fatto che in Italia c'è una democrazia. Cosa significa? Che in Cina hanno seguito le regole per via di una dittatura e in Italia no perché siamo un Paese libero?", si chiede pensieroso.

Blocco dei voli dalla Cina: Un errore, cittadini meno controllati

Quando l'emergenza sanitaria stava mettendo in ginocchio la provincia di Wuhan, e si stava spandendo in altri territori cinesi, l'Italia ha optato per la chiusura dei voli diretti da e per la Cina. Ma, come spiega a Fanpage.it, anche questa decisione è stata, forse, troppo avventata. "Bloccare i voli ha voluto dire diminuire il livello di controllo sui cittadini che lasciavano la Cina", spiega, offrendo un esempio: "Se io per raggiungere l'Italia dalla Cina avessi fatto uno scalo a Mosca, come è successo, sarei risultato di fatto un cittadino che rientrava in Italia dalla Russia e non dall'Oriente. Non siamo stati controllati come persone il cui Paese di partenza era la Cina. E probabilmente questa libera circolazione delle persone ha influito molto a livello internazionale sulla diffusione del virus". Detto ciò, anche in questo caso, molto è rappresentato dal senso civico dei cittadini: "Io mi sono messo in auto-isolamento per 14 giorni una volta arrivato qui, così come ho fatto quando sono tornato in Puglia lavorando in smart working e come ho fatto in Cina al mio ritorno, in un hotel adibito".

Si può uscire dall'emergenza: Ma i cittadini devono essere responsabili

Certo, molto dipende anche da chi sapeva e non ha detto e su questo chi ci parla non nega che "ci sono delle responsabilità", ma su quanto avvenuto dopo la differenza di solidarietà è marcata tra le due popolazioni e sistemi politici: "Abbiamo perso troppo tempo – dice la fonte -, ci siamo persi nelle chiacchiere all'italiana: "è solo un'influenza chi se ne importa", veniva detto. Il sistema politico ci dà tanti diritti e libertà ma impone anche che per prendere decisioni drastiche come il primo decreto ci sia voluto quasi un mese di tempo". Nulla è comunque perduto, perché la speranza e la prova che si possa uscire da questa dura condizione è certificata da quanto sta succedendo in Cina: "Il messaggio di speranza che voglio lanciare è questo: la quarantena serve. Qui abbiamo fatto 56 giorni di isolamento a casa, fatto bene, e ora ne stiamo uscendo. Solo una persona per nucleo famigliare poteva uscire per fare la spesa una volta a settimana. L'hashtag stiamo a casa ha dimenticato l'aggiunta di "evitiamo il contatto"". Solo così la pandemia da Coronavirus diventerà presto un ricordo di cui fare tesoro: la vita non tornerà subito a quella cui eravamo abituati, il senso di responsabilità dei cittadini sarà ancora il valore principale per evitare che si ripiombi nell'incubo. "Qui c'è ancora un controllo capillare – assicura infine il ragazzo – anche se si parla di zero casi negli ultimi giorni. Il monito in Italia è questo: quando sarà finito, non dimentichiamoci da cosa siamo appena usciti".

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