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Il processo per l’omicidio di Elisa Bravi, la condanna all’ergastolo per il marito Riccardo Pondi

Il 19 dicembre 2019 a Glorie di Bagnacavallo (Ravenna), Riccardo Pondi strangolò la moglie Elisa Bravi. È stato condannato all’ergastolo per omicidio volontario aggravato, dopo una prima sentenza a 24 anni di carcere.
A cura di Biagio Chiariello
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Elisa Bravi
Elisa Bravi

L’omicidio di Elisa Bravi avvenne il 19 dicembre 2019 nella casa di famiglia a Glorie di Bagnacavallo, in provincia di Ravenna. Aveva 31 anni. Quella notte, al termine di una violenta lite scoppiata nella camera da letto, la donna fu uccisa dal marito Riccardo Pondi, che le strinse le mani attorno al collo fino a strangolarla. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, Elisa non ebbe possibilità di difendersi. Nella stanza accanto dormivano le due figlie della coppia, ignare di quanto stava accadendo.

Dopo il delitto, Pondi tentò inutilmente di rianimare la moglie. Poco dopo chiamò le forze dell’ordine, confessando immediatamente l’omicidio. Fu lui stesso a spiegare ai carabinieri quanto era accaduto, raccontando di una colluttazione degenerata in pochi minuti in un gesto irreversibile. L’arresto scattò nella stessa notte.

Per l’uccisione di Elisa Bravi, Riccardo Pondi è stato infine condannato all’ergastolo. Un esito arrivato al termine di un lungo iter giudiziario, segnato da valutazioni differenti nei vari gradi di giudizio. Oggi l’uomo sta scontando la pena in carcere, mentre le figlie vivono con i nonni materni.

Il processo contro Riccardo Pondi

Il processo contro Riccardo Pondi si è svolto davanti alla Corte d’Assise di Ravenna ed è arrivato a una prima sentenza il 6 luglio 2021. Al centro del dibattimento, oltre alla ricostruzione della notte del delitto, vi è stata la valutazione delle condizioni psicologiche dell’imputato e del suo stato di salute mentale al momento dell’omicidio.

La difesa aveva chiesto il riconoscimento del vizio parziale di mente, sostenendo che Pondi avesse agito in una condizione di grave compromissione psichica. La Procura, al contrario, aveva sollecitato la condanna all’ergastolo, ritenendo sussistenti tutte le aggravanti previste dalla legge, compresa quella della difesa minorata della vittima.

I giudici hanno però escluso che l’uomo fosse incapace di intendere e di volere, sulla base delle perizie psichiatriche disposte sia dalla Corte sia dall’accusa. Secondo i consulenti, pur in presenza di uno stato di forte tensione emotiva, Pondi era pienamente consapevole delle proprie azioni.

La prima condanna a 24 anni

La Corte d’Assise di Ravenna, pur escludendo l’incapacità di intendere e di volere di Riccardo Pondi, ha deciso di riconoscere le attenuanti generiche, mettendole in equivalenza con le aggravanti. Questa valutazione ha portato alla condanna a 24 anni di carcere, una pena inferiore a quella richiesta dall’accusa.

Elisa Bravi
Elisa Bravi

La decisione arrivò dopo oltre cinque ore di camera di consiglio. I giudici tennero conto, tra gli altri elementi, della confessione immediata dell’imputato e del comportamento tenuto dopo il delitto. La sentenza suscitò però la reazione dei familiari di Elisa Bravi, che presentarono ricorso, ritenendo la pena non proporzionata alla gravità dei fatti.

Nel provvedimento di primo grado vennero inoltre stabiliti risarcimenti immediatamente esecutivi per oltre 2 milioni e 800 mila euro a favore dei genitori di Elisa, costituiti parte civile anche come tutori delle due nipoti. Risarcimenti simbolici furono riconosciuti anche ad associazioni ed enti locali. I giudici si riservarono 90 giorni per il deposito delle motivazioni.

Il ricorso in Appello e la conferma della Cassazione per l’ergastolo

Il ricorso dei familiari di Elisa Bravi ha portato il processo davanti alla Corte d’Assise d’Appello di Bologna, che ha ribaltato la sentenza di primo grado. I giudici hanno ritenuto che le aggravanti dovessero prevalere sulle attenuanti generiche e hanno condannato Riccardo Pondi all’ergastolo, escludendo nuovamente qualsiasi riduzione di pena legata a un’incapacità psichica.

Nelle motivazioni, la Corte ha descritto il delitto come il frutto di un’“ira incontrollata” trasformata in una “determinazione feroce” protrattasi per diversi minuti. Una violenza consapevole, maturata in un contesto di crisi coniugale e alimentata dal sospetto ossessivo di un tradimento.

La difesa ha però impugnato la decisione in Cassazione, insistendo sull’insussistenza dell’aggravante della difesa minorata e chiedendo una rivalutazione delle perizie psichiatriche. Il 29 settembre 2023, però, la Suprema Corte ha confermato l’ergastolo, rendendo definitiva la condanna.

Una decisione che ha chiuso il percorso giudiziario, lasciando aperta solo l’ipotesi, annunciata dai legali di Pondi, di un eventuale ricorso alla giustizia sovranazionale dopo il deposito delle motivazioni.

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