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“Ideologia gender”: paragonò in un video Scalfarotto a Hitler, condannato per diffamazione

Il Tribunale di Parma nelle motivazioni della sentenza con cui ha condannato l’autore di un video nel quale si accostava l’immagine di Scalfarotto a Hitler: “Ritenere che promuovendo un disegno di legge contro la omotransfobia volesse conculcare la libertà di determinazione sessuale dei bambini e irregimentarli in una dittatura ideologica assimilabile a quella nazifascista costituisce un inaccettabile stravolgimento e manipolazione della realtà”.
A cura di Susanna Picone
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Sono arrivate le motivazioni della sentenza con cui il Tribunale di Parma ha condannato per diffamazione l'autore di un video pubblicato su YouTube nel 2015 nel quale si accostava l'immagine di Ivan Scalfarotto a quella di Adolf Hitler “in quanto esponente della cosiddetta ‘ideologia gender'". L’autore del video è stato condannato a mille euro di multa e a duemila euro di risarcimento. Per il Tribunale di Parma ritenere che, "promuovendo" un disegno di legge per contrastare la omotransfobia, Scalfarotto "volesse conculcare la libertà di determinazione sessuale dei bambini e irregimentarli in una dittatura ideologica assimilabile, per pericolosità, a quella nazifascista costituisce un inaccettabile stravolgimento e manipolazione della realtà”. Il video era stato pubblicato nel luglio 2015 quando Scalfarotto – si legge nella sentenza del giudice Beatrice Purita – stava seguendo l'iter parlamentare del disegno di legge "da lui promosso".

Il filmato si intitolava ‘Stop ideologia gender, colonizzazione ideologica'. Il pm aveva chiesto l'assoluzione dell'imputato. Da quel video, secondo il giudice, emerge "in modo inequivoco l'associazione di Scalfarotto all'immagine di Hitler" e il "messaggio" che se ne trae "è che egli fosse fautore di un pensiero dittatoriale" che rovina la "libertà di espressione dei bambini". Non si trattava dunque di una legittima critica nei confronti della sua attività di promozione di quel disegno di legge, che poi non venne approvato. Nessuna "attenuante", si legge ancora, anche se l'imputato aveva deciso di rimuovere il video da YouTube e si era scusato col parlamentare inviandogli una lettera. Gesti che secondo il giudice puntavano solo alla "remissione di querela".

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