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Giudice obbliga bimbi a vedere padre violento: Italia condannata dalla Corte europea dei diritti umani

La CEDU ha stabilito che l’Italia deve risarcire i due bambini coinvolti con 7mila euro. Secondo la Corte, infatti, l’Italia ha fallito nel suo dovere di proteggere e assistere i bambini perché ha permesso all’uomo di avere colloqui da solo e senza controlli con i minori.
A cura di Antonio Palma
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La Corte europea dei diritti umani ha condannato l'Italia per aver violato l'articolo 8 della Convenzione, relativo al diritto al rispetto della vita privata e familiare, per non aver protetto i figli minorenni di una donna costringendoli per tre anni ad incontrare il padre tossicodipendente, alcolizzato e accusato di maltrattamenti.

La CEDU ha stabilito che l’Italia deve risarcire i due bambini coinvolti con 7mila euro. Secondo la Cedu, infatti, l'Italia ha fallito nel suo dovere di proteggere e assistere i bambini perché ha permesso all'uomo di avere colloqui da solo e senza controlli con i minori che avrebbero alterato l’equilibrio psicologico ed emotivo dei piccoli, così come segnalato dai servizi sociali.

Il caso era stato portato davanti alla Corte europea dei diritti umani dall’associazione Differenza Donna, a cui la madre dei minori, che oggi hanno 12 e  9 anni, si era rivolta dopo aver perso anche la responsabilità genitoriale tra il 2016 e il 2019.

"Siamo felici, soddisfatte, orgogliose, di questa sentenza storica che ristabilisce cosa vuole dire giustizia e cosa vuol dire protezione. Un grande riconoscimento per uno strenuo lavoro politico che continuiamo a portare avanti perché nessuna donna soffra più violenza istituzionale, perché nessun bambino venga strappato dalle braccia della mamma, perché nessun tribunale sottovaluti la violenza maschile che è e rimane una grave violazione dei diritti umani e che richiede un enorme sforzo delle Istituzioni per uscire da un guado culturale che relega il nostro Paese in un ambito arretrato e compiacente" ha dichiarato la presidente di Differenza Donna Elisa Ercoli

Secondo la Corte, durante gli incontri il padre, che aveva sospeso la propria terapia di recupero, aveva continuato a tenere un comportamento "aggressivo, distruttivo e incurante" ma i giudici italiani non avrebbero sospeso gli incontri  ledendo dunque l’interesse dei bambini.

Non solo, per la Corte sono stati violati anche i diritti della madre quando le è stata sospesa la responsabilità genitoriale perché considerata «ostile» ai contatti tra i bambini e il padre dato che si rifiutava di partecipare agli incontri. Per la CEDU in realtà i giudici non avrebbero avuto abbastanza prove per giustificare questa decisione visto che in effetti il comportamento protettivo della madre era l'unica modalità adeguata a tutelare "l'interesse superiore dei bambino".

"La Corte EDU ha condannato l’Italia per la prassi diffusa nei tribunali civili di considerare le donne vittime di violenza domestica che non adempiono all’obbligo di effettuare gli incontri dei figli con il padre e che si oppongono all’affidamento condiviso quali ‘genitori non collaborativi' e  quindi ‘madri inadatte' meritevoli di punizione" spiegano dall'associazione, concludendo: "Vigileremo perché ogni Tribunale senta  il peso di questa storica sentenza”.

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