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Frana a Casamicciola (Ischia)

Frana Ischia, Mercalli a Fanpage: “In Italia non andrebbe costruito un solo metro di cemento in più”

Il professor Luca Mercalli: “In un paese fragile come il nostro prima di costruire un solo metro in più di cemento bisognerebbe fermarsi a riflettere, e se possibile evitare di farlo”.
Intervista a Professor Luca Mercalli
Climatologo
A cura di Davide Falcioni
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Undici morti, centinaia di sfollati e migliaia di persone evacuate. È il bilancio della frana che la scorsa settimana si è abbattuta sull'Isola d'Ischia, in particolar modo sul comune di Casamicciola Terme, dove nelle ultime ore è diventato operativo il ‘Piano speditivo di Protezione civile' che prevede l'allontanamento temporaneo di oltre mille persone.

Quello che è accaduto la notte tra venerdì e sabato scorsi, però, non è una fatalità. O almeno non solo. In sei ore sono caduti 126 millimetri di pioggia, il dato più alto registrato nell'ultimo ventennio. Da sole però le precipitazioni non avrebbero generato la massa di fango che ha travolto case, strade e persone se il territorio di Ischia, in particolar modo quello di Casamicciola, non fossero stati eccessivamente edificati, spesso senza tenere conto delle caratteristiche idrogeologiche del suolo.

La catastrofe, dunque, è stata il frutto della combinazione tra un evento meteo particolarmente intenso e scelte umane sbagliate che hanno aumentato esponenzialmente i rischi per la popolazione. I cambiamenti climatici determineranno sempre più spesso precipitazioni violente, ed è il momento di mettere in campo politiche urbanistiche oculate, a partire da una legge contro il consumo di suolo di cui si sente sempre di più il bisogno. "In un paese fragile come il nostro prima di costruire un solo metro in più di cemento bisognerebbe fermarsi a riflettere, e se possibile evitare di farlo", ha spiegato a Fanpage.it il professor Luca Mercalli.

Luca Mercalli
Luca Mercalli

Quello che è accaduto a Ischia nella notte tra il 25 e il 26 novembre è stato causato dal maltempo o dai comportamenti umani?

Entrambi i fattori hanno influito, ma dobbiamo fare un passo indietro e parlare del concetto di rischio, termine che spesso consideriamo banale ma che ha una suo precisa formulazione concettuale.

Cos’è il rischio?

È il prodotto del pericolo per la vulnerabilità. Il pericolo è l’evento naturale in sé, che può esistere a priori. Un terreno vulcanico e montagnoso in un mare caldo come il Mediterraneo, in cui si sviluppano piogge intense, può da sempre causare frane. Accadeva anche un milione di anni fa in assenza dell’uomo e di Casamicciola. Accanto al pericolo mettiamo la vulnerabilità: le case, le strade, la popolazione, i capannoni, la linea elettrica. Tutto ciò che noi costruiamo sul territorio. Maggiore è il materiale da distruggere, maggiore è la vulnerabilità.

Il prodotto del pericolo per la vulnerabilità quindi fornisce il rischio.

Esatto: se il pericolo è altissimo ma la vulnerabilità è zero, il rischio è zero. Al riguardo ho un bell’esempio: in Islanda nel 1996 il collasso di un ghiacciaio – a causa di un’eruzione vulcanica – causò la più importante piena fluviale mai verificatasi in Europa. Ci fu la più grande alluvione che si conosca. Eppure quella zona, così esposta a dei pericoli, non venne urbanizzata. Non ci fu neanche un morto, né un ferito. Crollò solo un ponte. Gli islandesi lì non avevano costruito nulla. Il rischio di quell’evento, potenzialmente catastrofico, fu pari a zero. Le piogge di Ischia non avrebbero causato neanche un morto se lì non ci fossero state tutte quelle case.

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A causa del cambiamento climatico gli eventi estremi aumenteranno.

Certo, il cambiamento climatico è un fattore di amplificazione del pericolo. Se lo associamo all’urbanizzazione selvaggia il rischio cresce a dismisura. Per questo è necessaria, anzi urgente, una legge contro il consumo di suolo.

Cosa dovrebbe prevedere tale legge?

In un paese fragile come il nostro prima di costruire un solo metro in più di cemento bisognerebbe fermarsi a riflettere, e se possibile evitare di farlo. Si ricostruisca e ristrutturi quello che c’è già, a condizione che sia in una zona sicura. Poi in base alla cartografia del rischio idrogeologico italiano, che si può consultare sul sito dell'Ispra, si possono controllare i principali fenomeni pericolosi sul territorio nazionale come frane ed esposizione alle alluvioni. Lì non va costruito assolutamente nulla.

C'è poi il grande tema delle delocalizzazioni: se delle case sono inserite in un'area pericolosa vanno abbattute?

Se non possono essere protette adeguatamente sì. Se il pericolo è eccessivo lo Stato deve assumersi la responsabilità di evacuare quegli abitanti. Questa cosa è stata già fatta in Francia: dopo eventi meteo estremi sono stati delocalizzati interi paesi o quartieri. Le chiamano "zone nere", ovvero inabitabili. Ma aggiungo un tema: in Italia va condotta una grade campagna di educazione alla protezione civile.

Cosa intende?

Va insegnato in modo martellante all'impreparatissima popolazione italiana – che con i fenomeni naturali tende ancora ad affidarsi più alla scaramanzia che alla razionalità – come si fa a non rimetterci almeno la vita. Nel caso di Casamicciola sarebbe stato molto difficile perché le persone sono state sorprese in casa alle 5 del mattino. Ma in altri contesti i cittadini hanno fanno scelte sbagliate che gli sono costate care: attraversare sottopassaggi allagati con la macchina o scendere nel seminterrato per salvare l'auto dall'alluvione (come avvenuto nelle Marche pochi mesi fa) sono comportamenti da evitare. Prima viene la vita, poi la macchina. In questo dovremmo prendere esempio dagli Stati Uniti, dove la preparazione agli uragani è molto meticolosa e tutti sano cosa fare. In Italia, invece, questo fondamentale lavoro che salverebbe molte vite non viene fatto. E anche i giornalisti potrebbero dare una grossa mano.

In che modo?

Si fanno centinaia di interviste emozionali che servono a poco o a niente. Andrebbe invece svolto un altro lavoro che i francesi chiamano "retour d'expérience": lasciamo perdere le emozioni, proviamo ad analizzare quello che è accaduto come se dovessimo studiare una scatola nera. Dovremmo chiedere ai superstiti come sono riusciti a sopravvivere al freddo, come si sono dissetati, quali sono stati i problemi principali che hanno dovuto affrontare, perché si sono trovati in quella situazione. Dovremmo indagare le conseguenze degli eventi estremi come si indaga dopo gli incidenti aerei: ricostruire tutto, punto per punto, affinché non capiti più. Faccio un esempio, l'ormai celebre uomo di fango di Casamicciola: dovremmo chiedergli cosa gli è accaduto minuto per minuto, dove si trovava al momento dell'alluvione, come è sopravvissuto, come è finito in quello scantinato, quali sono state le sue più grandi difficoltà, come ha affrontato psicologicamente l'emergenza. Tutte queste domande non vengono mai poste, eppure servirebbero a costruire comportamenti per affrontare le catastrofi di domani.

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