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La morte di Viviana Parisi e Gioele Mondello

La scomparsa di Viviana e Gioele: il viaggio senza ritorno di madre e figlio

Il 3 agosto 2020 la scomparsa di Viviana e Gioele. Dalla crisi mistica della dj all’ipotesi di suicidio allargato: cosa è successo alla donna e a suo figlio.
A cura di Anna Vagli
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Era il 3 agosto del 2020 quando Viviana Parisi, 43 anni, scompariva con il figlio Gioele che di anni ne aveva solo quattro. Express Viviana, così era conosciuta come dj della musica techno, quella mattina aveva riferito al marito Daniele Mondello che si sarebbe recata con il figlio al centro commerciale di Milazzo, distante una trentina di chilometri dalla loro abitazione. Le sue intenzioni, però, uscita da casa, si riveleranno completamente diverse.

La direzione imboccata con l’Opel Corsa era stata quella della Messina Palermo. Dopodiché, all’altezza del viadotto Pizzo Turda, nel comune di Caronia, la donna ebbe un incidente con un furgoncino con a bordo degli operai. Dopo il sinistro, Viviana decideva così di abbandonare la sua automobile, la borsa e i documenti.

Alcuni operai la vedranno in prossimità del guard rail insieme al figlio. Ma sarà l’ultima volta che verranno visti ancora in vita. I corpi esanimi di Viviana e Gioele verranno rinvenuti rispettivamente l’8 e il 19 agosto dello stesso anno.

Dopo ben quattordici mesi di indagini e di battaglie tra consulenti e periti, il Gip di Patti ha archiviato il caso come omicidio-suicidio accogliendo la tesi avanzata dalla Procura. Nelle 495 pagine il Dottor Aliquò ha condiviso quanto cristallizzato dalle indagini: “Viviana Parisi uccise il piccolo Gioele e poi si suicidò lanciandosi da un traliccio dell’Enel”.

Viviana Parisi
Viviana Parisi

Secondo la ricostruzione della Procura Viviana, in preda a una crisi psicotica, avrebbe prima ucciso il figlio. Con quali modalità, però, a causa dello stato dei resti, non è stato chiarito dall’organo inquirente. Anche se l’ipotesi più accreditata è rimasta quella dello strangolamento. Dopo aver privato della vita Gioele, dunque, la donna l’avrebbe adagiato in un fosso e ricoperto di sterpaglie e pietra.

In preda al panico, ma comunque determinata a uccidersi, avrebbe infine cercato un burrone o un dirupo nel quale buttarsi. E dopo aver individuato il traliccio dell’Enel lo avrebbe raggiunto per poi gettarsi nel vuoto.

È verosimile che la mattina della scomparsa Viviana fosse perfettamente consapevole che il suo viaggio sarebbe stato senza ritorno. Ciò non significa che l’incidente stradale di cui sono rimasti vittima madre e figlio sia stato provocato volontariamente dalla donna.

Tuttavia, quest’ultimo potrebbe aver accelerato la concretizzazione dell’idea suicidaria. Viviana si era allontanata da casa dicendo al marito che sarebbe andata a comprare un paio di scarpe, ma così non è stato. L’incidente, quindi, non avrebbe fatto altro che amplificare il malessere che l’attanagliava da tempo. Lo stesso malessere che poi l'avrebbe indotta a scappare nei boschi con Gioele in braccio.

Viviana e suo figlio Gioele
Viviana e suo figlio Gioele

Una considerazione avvalorata anche dal racconto di un testimone che, cercando di parlare con Viviana in quei minuti concitati, non aveva ricevuto risposta. La donna, dunque, verosimilmente già si trovava in uno stato di profonda crisi dissociativa. Per questo non ha chiesto aiuto dopo il sinistro.

Del resto, era uscita dall’abitazione senza telefono e neppure si era preoccupata di pagare il pedaggio autostradale. Elementi questi che avvalorano la consapevolezza della donna di non fare più rientro a casa. In questo senso, se proprio dovessimo rintracciare un responsabile terzo rispetto alle morte di Viviana e Gioele, lo si deve ricercare nel "demone della depressione".

La dimensione delirante nella quale viveva Viviana era non solo conosciuta, ma anche certificata. E l’aveva spesso resa oggetto di fenomeni allucinatori e psicotici. Come testimoniato dallo storico psichiatrico della donna. Il certificato del 17 marzo aveva evidenziato come quest’ultima fosse affetta da una condizione depressiva critica e contraddistinta da episodi paranoidei deliranti.

In aggiunta, un paio di mesi prima della scomparsa, a giugno del 2020, Viviana aveva ingerito un quantitativo eccessivo di psicofarmaci. Tale episodio, anche se non incasellato come tentativo di suicidio, aveva denotato un ormai irrimediabilmente compromesso quadro di sofferenza psichiatrica.

In un simile quadro, la presenza del certificato attestante le sue patologie psichiatriche nel cruscotto dell’auto potrebbe essere stato un segnale che Viviana ha voluto inviare. Nello specifico, è assai anomala la scelta di conservare dei documenti così importanti all’interno di una vettura. Questa considerazione porta quindi inevitabilmente a pensare che Viviana li abbia portarti volontariamente con sé il giorno della scomparsa.

E li avrebbe portati volontariamente con sé per rispondere agli interrogativi che il suo gesto avrebbe lasciato: il suicidio non era altro che la fisiologica conseguenza del malessere psicologico nel quale versava ormai da troppo tempo. Malessere sul quale non era in grado di esercitare alcun tipo di controllo.

Gioele con i suoi genitori
Gioele con i suoi genitori

La crisi mistica di Viviana, diagnosticata come anticipato nel certificato del 17 marzo, corrisponde in letteratura alla causa più frequente di suicidio allargato. La giovane dj, come tutte le madri che si muovono in questo tipo di progetto, viveva una situazione depressiva ormai irreparabile e si sarebbe convinta che Gioele non avrebbe potuto vivere in un mondo ostile e pieno di pericoli senza di lei. Per questo l’avrebbe ucciso.

Le persone vicine a Viviana hanno parlato di un attaccamento quasi morboso nei confronti del figlio. Perché allora privarlo di un bene così prezioso come quello della vita? La risposta, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, risiede proprio in questo. Difatti, proprio il suo attaccamento al figlio l’avrebbe spinta a coinvolgerlo nel suo progetto suicidario. Decidendo così di risparmiare a Gioele un’esistenza contraddistinta dalla sofferenza perché priva di una figura genitoriale di riferimento come quella materna. Vale a dire la sua.

Nel “morire insieme” non c’era la consapevolezza di arrecare male al proprio figlio, ma il paradossale desiderio di proteggerlo da un futuro incombente e minaccioso. In altri termini, l’amore sconsiderato nutrito per il figlio che tanto le somigliava non rappresentava più per Viviana un fattore protettivo, ma era diventato il pericolo più grande.

Del resto, ancora oggi, non riusciamo a separare i due nomi: non c'è storia di Viviana senza quella di Gioele.

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Dottoressa Anna Vagli, giurista, criminologa forense, giornalista- pubblicista, esperta in psicologia investigativa, sopralluogo tecnico sulla scena del crimine e criminal profiling. Certificata come esperta in neuroscienze applicate presso l’Harvard University. Direttore scientifico master in criminologia in partnership con Studio Cataldi e Formazione Giuridica
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