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Dress code alle borsiste: torna libero l’ex giudice Francesco Bellomo

L’ex giudice del Consiglio di Stato Francesco Bellomo è tornato in libertà. Il giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Bari Annachiara Mastrorilli ha accolto l’istanza dei legali dell’imputato, sostituendo la misura cautelare degli arresti domiciliari con quella meno afflittiva del divieto di avvicinamento.
A cura di Davide Falcioni
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L'ex giudice del Consiglio di Stato Francesco Bellomo è tornato in libertà. Il giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di Bari Annachiara Mastrorilli ha accolto l'istanza dei legali dell'imputato, sostituendo la misura cautelare degli arresti domiciliari con quella meno afflittiva del divieto di avvicinamento. Lo ha deciso nell'ambito dell'udienza preliminare al termine della quale Bellomo è stato rinviato a giudizio per atti persecutori. Nell'ambito di questo procedimento, coordinato dal procuratore aggiunto Roberto Rossi e dalla pm Daniela Chimienti, Bellomo era stato arrestato la prima volta l'8 luglio 2019. Venti giorni dopo il Tribunale del Riesame aveva revocato la misura cautelare disponendo l'interdizione per dodici mesi. La Procura aveva in seguito impugnato e dopo la pronuncia favorevole della Cassazione, nuovi giudici del Tribunale della Libertà di Bari, il 10 luglio scorso, avevano ripristinato la misura degli arresti domiciliari, oggi revocata.

Il dress code imposto alle studentesse

Secondo l'accusa Francesco Bellomo imponeva un vero e proprio dress code alle sue collaboratrici della scuola di formazione giuridica Avanzata "Diritto e scienza" di Bari di cui era docente e direttore scientifico per i corsi post-universitari per la preparazione al concorso in magistratura. In particolare l'ex giudice è accusato dei reati di maltrattamento nei confronti di quattro donne, tre borsiste e una ricercatrice, ed estorsione aggravata ai danni di un'altra corsista. Tutti reati che risalirebbero al periodo in cui l'uomo era impegnato nelle docenze per i corsi post-universitari in magistratura. L'ex giudice, secondo l'accusa, era solito far sottoscrivere alle allieve una sorta di contratto con i "doveri" da rispettare imponendo loro anche abiti e comportamenti con relative punizioni in caso di violazioni. Per i giudici, Bellomo, con "l'artifizio delle borse di studio offerte dalla società" che consentivano tra le altre cose la frequenza gratuita al corso, "per selezionare ed avvicinare le allieve nei confronti delle quali nutriva interesse, anche al fine di esercitare nei loro confronti un potere di controllo personale e sessuale", avrebbe fatto sottoscrivere un "contratto/regolamento" che disciplinava i "doveri", il "codice di condotta" ed il "dress code" del borsista.

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Tale dress code era suddiviso in tre livelli: classico, intermedio ed estremo. Il primo era imposto per gli "eventi burocratici", il secondo per "corsi e convegni", il terzo per "eventi mondani" e prevedeva "gonna molto corta (1/3 della lunghezza tra giro vita e ginocchio), sia stretta che morbida, più un maglioncino o maglina, oppure vestito di analoga lunghezza". Inoltre le borsiste erano tenute a "curare la propria immagine anche dal punto di vista dinamico (gesti, conversazione, movimenti)". Come se non bastasse alle ragazze era imposto "il divieto di contrarre matrimonio a pena della decadenza automatica dalla borsa", ma anche la "fedeltà nei confronti del direttore scientifico" e "l'obbligo di segretezza sul contenuto delle comunicazioni intercorse". Una giovane sarebbe stata costretta a rinunciare ad un lavoro da co-presentatrice in una tv  "in quanto incompatibile con l'immagine di aspirante magistrato" mentre un'altra borsista sarebbe stata "punita" con l'iscrizione in una rubrica sulla rivista della Scuola con "dettagli intimi sulla sua vita privata".  Da una terza l'ex giudice avrebbe preteso che "si inginocchiasse e gli chiedesse perdono" per avere violato le regole del contratto. Un ruolo chiave lo avrebbe avuto l'ex pubblico ministero di Rovigo Davide Nalin, coordinatore delle borsiste e anche lui indagato. Per i pm era lui che selezionava le borsiste sottoponendole al "test del fidanzato sfigato" ed era sempre lui incaricato di vigilare sul rispetto degli obblighi contrattuali e a decidere le punizioni.

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