Curato a distanza, morto tra atroci sofferenze: Massimo stroncato dal tumore a 46 anni. Tre ‘guaritori’ nei guai

La Procura di Ravenna ha chiuso le indagini sulla drammatica vicenda di Massimo Mariani, il 46enne ravennate morto nel giugno del 2023 dopo aver interrotto le cure oncologiche per affidarsi a una “terapia alternativa” priva di basi scientifiche. Tre persone – una 41enne di Bologna, una 40enne di Terni e un 47enne di Ferrara – sono ora accusate di concorso in morte come conseguenza di altro reato e truffa aggravata, per aver convinto Mariani ad abbandonare le cure tradizionali in favore di un presunto trattamento energetico a distanza. Gli stessi soggetti erano già stati coinvolti in un’altra indagine, a Brescia, per un caso simile legato a un bambino malato di tumore.
L’inchiesta ravennate è partita a marzo 2024 da una denuncia presentata alla stazione dei Carabinieri da Gabriella Sarti, madre di Massimo, determinata a fare luce su quanto accaduto. Mariani aveva cominciato a seguire questo presunto percorso terapeutico nell’autunno del 2022, dopo aver conosciuto una donna residente nei lidi ravennati. Da quel momento, la sua vita è cambiata: ha abbandonato la medicina ufficiale e si è affidato a un trattamento che, secondo quanto gli veniva detto, avrebbe agito sul suo “campo energetico”.
Le sedute, molto costose – inizialmente da 150 euro ciascuna, poi ridotte a 70 – si svolgevano da remoto, con Mariani collegato via internet con un operatore sudamericano. Il trattamento si basava sull’uso di un’apparecchiatura chiamata “Scio”, che avrebbe analizzato aura e campi magnetici attorno al suo corpo. I risultati venivano poi interpretati in diretta da operatori collegati dall’Italia. A Mariani vennero anche vendute delle gocce non meglio precisate. La spesa complessiva, secondo la madre, si aggirava attorno ai 4mila euro.
Nel frattempo, le condizioni di Massimo peggioravano. “Gli ripetevano che era stata la chemio a farlo ammalare”, ha raccontato Gabriella Sarti al Quotidiano Nazionale. “Alla fine si era convinto che solo quel metodo potesse salvarlo. Provai a fargli cambiare idea, ma era come se gli avessero fatto il lavaggio del cervello”. Il figlio, dice, si era recato anche da un oncologo accompagnato da uno degli “operatori” alternativi, che tentò di convincere il medico dell’efficacia delle sedute online. “Il medico gli disse chiaramente di continuare con le cure, ma Massimo non volle ascoltare”.
Quando le sue condizioni si sono aggravate al punto da non riuscire più a muoversi, Gabriella ha continuato a stargli accanto, pagando lei stessa le sedute. Alla fine, lo convinse a farsi ricoverare all’hospice Villa Adalgisa, dove Mariani trascorse le ultime settimane di vita. “Avrebbe potuto morire comunque – ha detto la madre – ma almeno avrebbe potuto farlo senza soffrire così tanto”.
Dopo la morte del figlio, Gabriella ha cercato di contattare i responsabili di quella che considera una vera e propria truffa. “Mi hanno detto che sbagliavo persona. Tutti i messaggi e le email che avevo visto nel computer di Massimo sono spariti”, ha denunciato. Nonostante le difficoltà iniziali, ha deciso di rivolgersi alle forze dell’ordine, spinta anche da alcuni comportamenti intimidatori da parte di una delle persone coinvolte.
L’indagine ravennate si è poi intrecciata con quella avviata a Brescia, dove gli stessi soggetti erano stati già sottoposti a misura cautelare per un caso simile: avevano convinto i genitori di un bambino di due anni malato di tumore ad abbandonare le terapie ospedaliere, salvo poi minacciarli quando tentarono di tornare alla medicina tradizionale, dopo il peggioramento del piccolo. Anche Gabriella Sarti, come i genitori del bambino, era apparsa a “Striscia la Notizia” per denunciare quanto accaduto. La trasmissione aveva documentato minacce e pressioni da parte degli “operatori” affinché venissero ritrattate le accuse.
Ora, con la notifica degli avvisi di fine indagine da parte della Procura di Ravenna, il caso si avvia verso l’eventuale rinvio a giudizio. Le accuse sono pesanti: truffa aggravata, esercizio abusivo della professione, sostituzione di persona, lesioni personali e – soprattutto – concorso in morte come conseguenza di altro reato. Le sedute con l’apparecchio “Scio” sono state qualificate dagli inquirenti come completamente prive di efficacia medica e scientifica.
Gabriella Sarti ha deciso di raccontare pubblicamente la storia del figlio per evitare che altri cadano nelle stesse trappole. “Non l’ho mai abbandonato, anche quando faceva scelte che ritenevo assurde. Ma voglio che nessuno debba passare quello che ha passato lui. Nessuno dovrebbe morire così".