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Coronavirus, Crisanti: ‘I numeri dell’epidemia sono sbagliati, mancano almeno 100mila casi’

“I numeri sull’epidemia del coronavirus in Italia sono sbagliati, mancano almeno centomila casi”. Lo spiega il professor Andre Crisanti, direttore del dipartimento di Medicina Molecolare e professore di Epidemiologia e Virologia presso l’Azienda Ospedaliera dell’Università di Padova, che aggiunge: “Fatti male sia il contenimento sia la sorveglianza”.
A cura di Giuseppe Cozzolino
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Nel gestire l'emergenza coronavirus, è stato fatto "male il contenimento e male la sorveglianza". Lo ha spiegato il professor Andrea Crisanti, direttore del dipartimento di Medicina Molecolare e professore di Epidemiologia e Virologia presso l'Azienda Ospedaliera dell'Università di Padova. Già nei giorni scorsi, Crisanti aveva sottolineato in una intervista che per contrastare la diffusione del coronavirus "ci vuole un'azione aggressiva, altrimenti il virus continuerà a circolare. L’alternativa è la via cinese, tutto chiuso per 3 mesi senza eccezioni".

Stavolta però il professor Crisanti è tornato sull'argomento ancora più deciso, spiegando che "la nostra strategia è quella che si usa in tutte le epidemie", e cioè "quella classica di una sorveglianza attiva". Come spiegato in una intervista rilasciata a Globalist.it, finora "è stato fatto male il contenimento, perché non ha senso tenere tutte le persone a casa e le fabbriche aperte, ma anche la sorveglianza". Proprio quest'ultima, in particolare, va rinforzata. "Sorveglianza attiva sul territorio significa che se una persona chiama e dice io sto male, invece di lasciarla sola a casa senza assistenza, noi con la unità mobile della Croce Rossa andiamo lì, facciamo il prelievo alla persona, il tampone ai familiari, agli amici e al vicinato, perché è là intorno che c'è il portatore sano, è là intorno che ci sono altri infetti", ha spiegato Crisanti, che sottolinea appunto l'importanza di "scovare" soprattutto gli asintomatici.

Il professor Crisanti ha quindi spiegato che la mappatura può permettere di diminuire drasticamente le probabilità di trasmissione del virus ad altre persone: "Se faccio la mappatura attorno ad una persona positiva, individuo tutte le persone che sono positive e le metto in quarantena, allora diminuisco le probabilità che questi trasmettano il virus ad altri. Chiaramente, queste persone vanno testate dopo sette-otto giorni, come fatto a Vo' dove non ci sono più casi. Quello "nuovo", infatti, è monitorato", ha spiegato ancora Crisanti, "perché è il parente di uno che stava male, lo sapevamo perfettamente. Il caso "nuovo" è un parente di un caso positivo ed era già sotto controllo".

Ma ad essere sbagliati sono anche i numeri dei contagiati, che secondo il professore Crisanti, sarebbero "quatto volte più dei casi della Cina. Se guardiamo il numero dei deceduti, possiamo stimare che ci siano già 130 o 150mila casi. Ne mancano centomila all'appello, che non sono stati diagnosticati. In Veneto siamo riusciti a fare la tracciabilità, abbiamo fatto tamponi a tutte le cerchie vicine ai sintomatici. Noi in Veneto abbiamo fatto 53mila tamponi per 4mila casi, con una media di un tampone ogni 10. In Lombardia, è stato fatto un tampone ogni 4: c'è una differenza di 40 volte, i casi non possono essere 25mila ma molti di più. E i tamponi costano 30 euro".

Infine, il professor Crisanti ha anche dettato la linea per "spegnere" i focolai che sembrano essere scoppiati anche al Sud, seppur al momento ancora con numeri ridotti rispetto a quelli del nord. "La battaglia si vince sul territorio, non negli ospedali. Dovrebbero mettere i blocchi dove c'erano i focolai, testare tutti per fermare l'epidemia. I casi come Vo' si sarebbero potuti affrontare in tutta Italia e spegnere tutti i focolai".

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