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Chimaera, il batterio killer non è un problema solo veneto: a rischio anche altre regioni

La Regione Veneto sta richiamando tutti i pazienti operati a cuore aperto dal 2010 a fine dicembre 2017, perché potrebbero aver contratto il batterio killer Mycobacterium chimaera. Finora si sono già registrati nella regione 16 casi e 6 decessi, ma la situazione potrebbe peggiorare e coinvolgere tutta Italia.
A cura di Flavia Grossi
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Paolo Demo è morto a 66 anni lo scorso 2 novembre. Era un medico anestesista e grazie a un memoriale scritto di suo pugno nei giorni precedenti al decesso si è dato il via ad un'inchiesta che probabilmente salverà molte vite. Paolo è morto a causa di un'infezione conseguente ad un'operazione a cuore aperto alla quale era stato sottoposto. Il Mycobacterium chimaera, questo il nome del batterio killer, viene identificato per la prima volta nel 2004 ed è un batterio generalmente non pericoloso per l'uomo, a meno che non ci si trovi davanti ad un caso invasivo. E' proprio questo il caso e non è l'unico. Il batterio infatti potrebbe aver contagiato qualsiasi paziente che ha subito un'operazione a cuore aperto in quanto si ritiene che sia legato ai dispositivi di raffreddamento/riscaldamento necessari a regolare la temperatura del sangue duranti interventi che richiedono una circolazione extracorporea. Il contagio da chimaera, per il momento, ha causato già sei morti in Veneto e due in Emilia Romagna.

"La prima identificazione di un caso di infezione associato a questo tipo di dispositivo risale al 2014, anche se attraverso indagini retrospettive è stato possibile riconoscere anche casi verificatisi precedentemente, a partire dal 2011" è quanto si legge sulla nota diramata dal ministero della Salute lo scorso 21 novembre, al fine di valutare il "rischio per il nostro paese" ed emanare specifiche raccomandazioni.

La prima regione a dare un resoconto è stata la Regione Veneto, dove si è costituito un gruppo di lavoro coordinato dalla Direzione Regionale Prevenzione e dell’Unità Operativa Rischio Clinico dell’Azienda Zero. Evidenze scientifiche suggeriscono che l’infezione può avvenire tramite aerosol proveniente dall’acqua dei dispositivi di raffreddamento/riscaldamento necessari a regolare la temperatura del sangue durante interventi cardiochirurgici in circolazione extra corporea. Dunque a rischio sono i pazienti che hanno subito un'operazione di questo tipo. Il Gruppo di Lavoro ha comunicato che: "Su oltre 30.000 interventi chirurgici eseguiti dal 2010 presso le Cardiochirurgie della Regione Veneto, sono stati individuati 14 casi di infezione, di cui 6 decessi. I pazienti potenzialmente interessati sono stimati in circa 10.000″.

Francesca Russo, a capo della Direzione regionale Prevenzione, ha spiegato cosa sta succedendo e quale procedura si sta mettendo in atto: "Noi come Regione Veneto abbiamo deciso nell'ambito del nostro gruppo di lavoro, un gruppo strategico che è stato costituito, di mandare un'informativa a tutti i pazienti operati dal 2010 a dicembre 2017, informandoli del fatto che se avessero una sintomatologia particolare, caratterizzata da febbre persistente, dimagrimento, situazioni di malessere non giustificate, possono contattare le loro strutture di riferimento, che sono le malattie infettive o gli ambulatori dedicati per essere presi in carico e avere naturalmente il supporto terapeutico necessario".

Potrebbe dunque diventare un problema a livello nazionale?

"Un'altra regione è l'Emilia Romagna che ha segnalato dei casi al ministero. Adesso il ministero ha mandato una nota a tutti le regioni per raccogliere il numero dei casi che si sono verificati e quindi per avere una dimensione del problema". Infatti sulla nota pubblicata si legge: "Si è in attesa di ricevere riscontro dalle regioni e il ritardo è probabilmente dovuto al fatto che il lungo periodo di incubazione e la scarsa specificità del quadro clinico rendono complessa e laboriosa l’identificazione di casi possibili che devono, comunque, essere confermati da indagini di laboratorio specifiche, non sempre disponibili per i casi individuati retrospettivamente". Il tempo di incubazione può variare in range compreso tra i 3 e i 72 mesi e il tasso di mortalità e di circa il 50%.

Gli ospedali hanno qualche responsabilità?

"Gli ospedali hanno seguito le istruzioni di disinfezione che via via sono arrivate dall'azienda che ha distribuito le macchine, e quindi hanno messo in atto tutte le procedure di sicurezza. Noi abbiamo cambiato tutte le macchine, abbiamo dato un ulteriore elemento di sicurezza che è stato quello di portare fuori dalle sale operatorie queste macchine. Alcune strutture lo hanno già fatto, altre stanno facendo i lavori per portarle fuori, quindi per avere un margine di sicurezza ancora più elevato".

Questo problema interessa la tipologia di macchinario o esclusivamente le macchine prodotte da una determinata società?

"Questo non lo sappiamo con certezza, dalle informazioni che ha diffuso l'ISDS – ovvero Investor State Dispute Settlement, traducibile come Risoluzione delle controversie tra investitore e Stato – e anche il ministero riguarda alcune specifiche macchine di una determinata ditta, adesso però il ministero valuterà se possono essere coinvolti altri tipi di macchinari, quindi questa adesso è una risposta che non le so dare. Comunque tutte le nostre macchine sono state cambiate e sono a tenuta stagna proprio per evitare che si formino questi areosol che possono contagiare il paziente". Il ministero fa sapere che i dispositivi a causare i contagi fin'ora registrati sono di produzione della società LivaNova Deutschland GmbH, di cui in Italia al momento sono presenti 218 pezzi.

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