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Chi sono gli immuni al coronavirus, Novelli (Tor Vergata): “Persone con più interferoni”

Il professor Giuseppe Novelli, genetista di fama internazionale ed ex rettore dell’Università di Tor Vergata: “Dall’inizio della emergenza sanitaria abbiamo notato che non tutti si ammalano allo stesso modo: ci sono infatti gli asintomatici, quelli che riportano sintomi lievi e purtroppo anche coloro che devono essere ricoverati in terapia intensiva”. A fare la differenza potrebbe essere la quantità di interferoni prodotta dagli organismi delle persone.
A cura di Davide Falcioni
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Perché alcune persone contraggono forme molto aggressive di Covid-19 mentre altre sono asintomatiche oppure non si ammalano affatto, per essendo esposte allo stesso virus? È una delle domande a cui stanno cercando di dare una risposta gli scienziati dell'Università di Tor Vergata di Roma in collaborazione con dei loro colleghi di tutto il mondo, nella convinzione che questo sia uno dei temi determinanti da affrontare per sconfiggere la pandemia. A spiegare le caratteristiche dello studio nel live su YouTube di Fanpage.it è stato il professor Giuseppe Novelli, genetista di fama internazionale ed ex rettore dell'ateneo romano: "Dall’inizio della emergenza sanitaria abbiamo notato che non tutti si ammalano allo stesso modo: ci sono infatti gli asintomatici, quelli che riportano sintomi lievi e purtroppo anche coloro che devono essere ricoverati in terapia intensiva e spesso purtroppo muoiono. Il virus è lo stesso, ma la differenza la fa l’ospite", ha spiegato Noveli prima di entrare nel dettaglio.

Chi sono i soggetti resistenti al virus

Lo studio condotto dagli scienziati italiani in collaborazione con i colleghi della Rockfeller University di New York e di altri istituti, tutti riuniti sotto l'egida del Consorzio Internazionale di Genetica (Covidhge), ha in particolare lo scopo di cercare le persone "resistenti" al virus, esaminarne a fondo il DNA  e comprendere come mai riescano a evitare malattia e infezione, pur essendo chiaramente esposte al virus. La ricerca, in particolare, si è concentrata su quei soggetti che sono entrati a strettissimo contatto con il coronavirus, ad esempio vivendo insieme a una persona contagiata senza indossare dispositivi di protezione: "Abbiamo eseguito uno studio molto importante per capire come mai ci siano differenze spesso molto grandi tra persone esposte allo stesso patogeno, e abbiamo scoperto che il 10 per cento dei soggetti che sviluppano forme gravi hanno un difetto genetico sulla produzione dell'interferone, cioè la prima linea di difesa che produciamo noi. Senza interferone è più facile ammalarsi gravemente", ha spiegato il professor Novelli.

L'ipotesi degli scienziati è dunque che alcuni individui – a prescindere dall'età – siano in grado di produrre maggiori quantità di interferone rivelandosi di fatto immuni al Covid. Spiega sempre Novelli: "Stiamo selezionando volontari che ci donino il loro DNA tra persone che siano state fortemente esposte al virus ma non si siano ammalate. In seguito esamineremo la loro capacità di produrre interferone". Si tratta, spiega Novelli, di una ricerca molto ambiziosa perché potrebbe permettere di sviluppare farmaci monoclonali e antivirali molti efficaci contro il coronavirus.

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