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“Brusca ci ha ordinato di votare per Totò Cuffaro”: Santino Di Matteo spiega il rapporto mafia-politica

Nella diretta live del 28 luglio nella puntata live di Confidential, il nuovo progetto di Deepinto su Fanpage.it dedicato a inchieste e approfondimenti, il collaboratore di giustizia Santino Di Matteo ha rivelato il rapporto tra mafia e politica: “La famiglia Brusca ci ha detto di votare per Totò Cuffaro. E così abbiamo votato per lui”.
A cura di Giorgia Venturini
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"La famiglia Brusca ci ha detto di votare per Totò Cuffaro. E così abbiamo votato per lui". Per due ore Santino Di Matteo ha parlato della stage di Capaci, di via d'Amelio, del delitto di Piersanti Mattarella ma anche dei rapporti tra mafia e politica: ieri sera 28 luglio nella puntata live di Confidential, il nuovo progetto di Deepinto su Fanpage.it dedicato a inchieste e approfondimenti, il collaboratore di giustizia ha risposto alle domande delle persone in studio e di chi commentava sul canale Youtube da casa. Di Matteo ha parlato della di Cuffaro. Ma chi è Cuffaro?

Salvatore Cuffaro è stato segretario della Democrazia Cristiana in Sicilia. Ha ricoperto la carica di presidente della Regione Sicilia 2001-2008. Nel 2011 è stato condannato in via definitiva per favoreggiamento aggravato alla mafia e violazione del segreto istruttorio. Ha scontato la sua pena ed è tornato in libertà nel 2015.

La mafia aveva scelto di dare i voti a lui: i Corleonesi lo avevano appoggiato in campagna elettorale. "Una volta – spiega Santino Di Matteo – che era morto Salvo Lima (leader della Democrazia Cristiana in Sicilia e in contatto con la mafia e ucciso da Cosa Nostra nel marzo del 1992), i politici chi erano? Allora hanno preso Cuffaro, tanto i corleonesi hanno pensato di portarlo a fare quello che volevano loro. Alla fine lui doveva fare quello che diceva Cosa Nostra, o meglio quello che diceva Totò Riina. Stava lì finché non eseguiva i ‘favori' richiesti dai corleonesi. Io non ho nulla contro Salvatore Cuffaro, doveva però sapere che se andava a finire in quelle mani non avrebbe deciso più nulla. Perché se alzava la testa, loro (i corleonesi) gliela facevano abbassare. Questo deve essere chiaro. Quando c'erano le elezioni in Sicilia la mafia diceva chi votare e tutti votavano per questo. Per me Salvatore Cuffaro non sapeva in che mani si stava mettendo se no non si avvicinava".

Santino Di Matteo ha spiegato che nei Rioni di Palermo quando si decideva il candidato da votare la mafia accompagnava gli elettori. Questo perché Cosa Nostra doveva sempre avere il suo politico di riferimento. Ma di mafia-politica si parlava solo nel momento delle elezioni?

Nella serata di ieri live sul canale Youtube di Fanpage.it uno spettatore da casa ha chiesto se la politica c'entra anche nell'organizzazione delle stragi eccellenti di Cosa Nostra. Santino Di Matteo ha risposto così: "No. Le stragi sono state tutte per ‘mano' di Totò Riina. È solo lui che decideva queste cose: dopo la sentenza del maxiprocesso ha deciso di attaccare lo Stato".

Ecco quindi l'inizio delle stagi del 1992. Secondo il collaboratore di giustizia come si era organizzata Cosa Nostra? "Prima Totò Riina ha eliminato tutti i suoi rivali all'interno di Cosa Nostra che non erano d'accordo con il suo piano contro lo Stato. Se fosse stato eliminato invece Totò Riina tutte queste stragi non sarebbero successe. Sapevo che persona era da quando era piccolo, mi ha frequento abbastanza bene".

Santino Di Matteo ha partecipato all'organizzazione di Cosa Nostra sulla strage di Capaci. Nel documentario raalizzato da Deepinto, da Francesco Piccinini e Chiara Freddi, il collaboratore di giustizia ha raccontato che nella sua casa di Altofonte, nella città metropolitana di Palermo, ospitava le riunioni della Cupola, ovvero l'organo direttivo supremo, di Cosa Nostra. Qui è stata organizzata la strage di Capaci in cui morirono il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.

Nel suo ultimo interrogatorio davanti ai magistrati Matteo Messina Denaro aveva voluto quasi sfidare lo Stato dicendo che non erano state fatte tutte le indagini necessarie sulla strage di Capaci. Nel dettaglio: "Non si è lavorato bene". Insomma manca un pezzo di verità. Santino Di Matteo ha tenuto a precisare invece che "si sa tutto sulla strage. Io ho detto tutto quello che so".

Salvatore Cuffaro dopo la puntata ha tenuto a precisare sulla sua pagina Facebook: "A chi attualmente si sta divertendo allegramente a diffamare la mia persona e la mia immagine pubblica volevo precisare che i miei legali stanno già provvedendo a sporgere querela per diffamazione per tutte le illazioni non veritiere perpetrate nella trasmissione di Fanpage qualche giorno fa.Chi ha inventato, cercando di screditare la mia buona fede e chi, in più, sta cavalcando l’onda a discapito della mia immagine ne risponderà, anch’esso, nelle sedi opportune.Non ho mai avuto rapporti con queste persone ed è evidente che questa storia non abbia alcun fondamento di verità e questo già emerge dalla ricostruzione strampalata delle date citate".

La replica di Salvatore Cuffaro: "Contro il fango, con la forza della verità"

In un comunicato Salvatore Cuffaro ha replicato alle parole di Santino Di Matteo: "C’è tanto fango – e mi si consenta il termine – merda nelle parole di Santino Di Matteo ogni volta che viene istigato a parlare di me. Sono state interrogate centinaia di persone e sentiti diversi pentiti, la mia vita è stata setacciata durante  le indagini che hanno portato al mio processo e nulla è emerso di lontanamente accostabile alle fandonie di Matteo. Nei confronti di quest’uomo, al quale è stato barbaramente ucciso un figlio innocente, nutro un senso di “pietas umana”. Ma non posso dimenticare che Di Matteo resta un pluriomicida libero, come Giovanni Brusca, che ha sciolto nell’acido il figlio di Di Matteo e anch’egli autore della strage di Capaci. Entrambi sono uomini che hanno versato sangue e che oggi parlano da uomini liberi".

E ancora: "Di Matteo è pentito da 35 anni. Se davvero avesse avuto qualcosa da dire contro di me, avrebbe potuto farlo durante le innumerevoli occasioni processuali ed i tanti interrogatori. Ma non ha mai detto nulla, perché nulla aveva da dire. Non ho mai conosciuto Emanuele Brusca e non so in quale tornata elettorale avrebbe potuto votarmi, come ora si racconta. Quando fui candidato alla Presidenza della Regione Siciliana nel 2001, i mafiosi come lui erano già in carcere da tempo. Lo stesso Brusca in carcere non dava certo ordini di votare dal carcere essendo già pentito e certo non avrebbe dato ordini a Di Matteo al quale aveva ucciso il figlio per vendicarsi del fatto che si fosse pentito. E nel 1991, quando erano ancora liberi, sostenevano ben altri candidati, come lo stesso Di Matteo ammette, citando l’On. Lima. D’altronde io ero uno appena candidato e della fazione opposta a Lima, ucciso, come si ricorderà, nel marzo del 1992.

È evidente la falsità delle sue dichiarazioni; se io, nelle parole di Di Matteo, ero diventato il referente della mafia al posto di Lima, è certo che non potevano avermi appoggiato nel ‘91, quando Lima era ancora in vita. Mentre, già nel ‘93 Di Matteo era in carcere. Quando sarei stato allora il loro referente? A chi giova oggi questo fango? Non certo alla giustizia. Forse neppure allo stesso Di Matteo, che, quasi “pentito” delle parole pronunciate, arriva a dire: “Totò non ne sapeva niente. Se l’avesse saputo, sarebbe scappato…”. Un  tentativo – a modo suo – di ridurre la gravità delle accuse
infondate.

Mi chiedo, allora, chi lo abbia spinto a dire certe cose. Non certo la magistratura, verso la quale continuo a nutrire una fiducia ostinata e profonda. Ma credo che ci sia ancora un certo giornalismo politicamente orientato, da sempre pregiudizialmente ostile nei miei confronti.

A costoro – giornalisti e politici che usano il fango come arma – dico una cosa chiara: non riuscirete a fermarmi. Non riuscirete a impedirmi di contribuire, con tenacia e impegno, alla costruzione di un partito fondato sulla Buona Politica sulla trasparenza e sulla legalità. Ho sofferto e ho pagato profondamente e pubblicamente per i miei errori che, è bene rimarcare, si riferiscono ad un periodo distante quasi 10 anni da quello cui fa riferimento Di Matteo. Ma, consapevole degli errori commessi, da uomo nuovo e libero, oggi non rinuncio né alle mie ragioni ideali né a quelle politiche. E soprattutto alla verità e alla giustizia". Il comunicato è firmato da Totò Cuffaro, segretario nazionale della DC.

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