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Benedetto XVI, il Papa emerito è morto a 95 anni

Benedetto XVI, il Papa della rinuncia che amava Dio, Mozart, i gatti e i libri

Il ritratto di Benedetto XVI, dall’infanzia nella Germania nazista al Pontificato e alle dimissioni: la lunga traversata del Papa Emerito morto oggi all’età di 95 anni.
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È difficile delineare un ritratto di Benedetto XVI, forse quasi impossibile, non per gli aspetti molteplici che hanno attraversato la sua esistenza ma per il carico di complessità che la sua vita di teologo, uomo di Chiesa e intellettuale ha sostenuto.

Forse anche per questo se ci fosse una colonna sonora di questa lunga traversata che il Papa Emerito ha percorso dal 1927 ad oggi sarebbe dell’amato Mozart di cui disse che la sua musica è “un raggio della bellezza del cielo”.

Ma la bellezza per Benedetto XVI non è mai passata per la superficie e infatti affermò “amo Mozart perché è penetrato a fondo nelle nostre anime, e la sua musica mi tocca ancora profondamente, perché è luminosa e al tempo stesso profonda. La sua musica non è affatto solo di intrattenimento, contiene tutto il dramma dell’esistenza umana”.

Sarà questa inquietudine tra grazia e mistero, tra semplicità e vette di altissima complessità a caratterizzare la sua scelta vocazionale e la sua carriera dentro le gerarchie episcopali. “Benedetto XVI non era solo il migliore di tutti, era il più generoso tra di noi”, dice trafelato un anziano porporato su via della Conciliazione e il prezzo di quella generosità lo ha pagato anche in termini di popolarità.

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“Il pastore tedesco” fu il titolo de “Il Manifesto” appena salì al soglio pontificio, uno stigma quello dell’austerità, della freddezza che lo ha caratterizzato per tutta la vita. Troppo diverso rispetto a Giovanni Paolo II che calcava anche i palchi rock con Bob Dylan, Joseph Ratzinger, preferiva quasi il nascondimento, lo studio “matto e disperato” e si sa che nella nascente epoca della crossmedialità e dei 140 caratteri, essere popolari e amati per quello che si era e non per quello che si appariva iniziava ad essere molto difficile.

Un esempio ne è la foto che per molto tempo è circolata sul web di un giovane Ratzinger a 14 anni con la divisa da nazista che veniva collegata da numerose pagine alle presunte simpatie hitleriane del Pontefice emerito dimenticando il tributo di sangue e persecuzione che lui e la sua famiglia pagarono per l’avversione al regime. Infatti Joseph senior, agente della gendarmeria tedesca, fu vessato e trasferito molte volte per la sua avversità alle camicie brune e il fratello del Pontefice George dichiarerà: “era un acerrimo nemico del nazismo perché credeva che fosse in conflitto con la nostra fede”.

Come raccontano numerosi quotidiani tedeschi e molte fonti storiche del Memoriale della Resistenza di Berlino, un cugino del futuro Papa affetto dalla sindrome di down fu prelevato e ucciso dalle SS. Durante il servizio militare del 1945 mise in atto un tentativo di diserzione fuggendo durante una marcia e una volta catturato dai suoi commilitoni riuscì ad evitare la fucilazione grazie ad un sergente che lo lasciò fuggire.

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Un ragazzo del Novecento che ebbe nella fede e nella volontà di una vita ecclesiastica la vera spinta a resistere alle contingenze del suo tempo e che in pochi anni lo portò ad essere uno dei massimi studiosi in pochi anni. Dal 1957 in poi dopo aver collezionato prestigiose cattedre in Germania il suo profilo emerse a livello internazionale con la partecipazione al Concilio Vaticano II, che riformò profondamente la Chiesa. I cardinali e i decani ammirarono molto non solo la sua preparazione ma la capacità di innovare il portato evangelico con i tempi che indicavano sempre di più una secolarizzazione e una laicizzazione del sistema.

Ma il futuro Benedetto XVI dovette fare i conti nel 1968 con la nomea di conservatore e reazionario; nel crescente clima dei moti studenteschi all’università di Tubinga vi fu una contaminazione di numerosi teologici tedeschi con le influenze marxiste, che si dimostravano più affini al protestantesimo luterano che al cattolicesimo (tra cui questi Hans Küng, che diverrà uno dei critici più accesi del dogma dell’infallibilità papale e del culto mariano).

In questo clima Ratzinger non fece altro che difendere la dottrina della Chiesa, senza aggiungere o togliere niente rispetto a quanto elaborato dal Concilio Vaticano II, difendendola tuttavia con forza arrivando a rompere con quell’ambiente e a trasferirsi nel 1969 a Ratisbona che raffigurò una tappa fondamentale per la sua carriera ecclesiastica, divenendo più avanti vicepresidente dell’Ateneo e successivamente Vescovo di Monaco e Frisinga fino al 1977, anno della sua nomina a cardinale.

Da questo momento iniziò la fase romana della sua vita, partecipò a due conclavi: quelli che elessero Papa, Albino Luciani e Giovanni Paolo II, che lo nominò nel 1981, prefetto per la Congregazione della Fede, il dicastero che vigilava sulla corretta interpretazione e applicazione della dottrina cristiana.

In questo ruolo di “guardiano” della Fede si rafforza il suo prestigio nelle sfere curiali che lo porteranno nel 2005 dopo la morte di Karol Wojtyla a divenire il nuovo Papa e Vescovo di Roma. Carica che manterrà fino al 2013, quando con un gesto decisivo e innovativo si dimise.

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Nel corso dei sette anni di pontificato, Benedetto XVI, iniziò un percorso di riforme strutturali attuando sia in termini canonici che morali il principio dell’ermeneutica della continuità ovvero la concezione per cui il Concilio Vaticano II si ponga in piena sintonia con la storia della Chiesa e ne aggiorni la prassi e le pratiche ma non rivoluzioni quella che è la tradizione liturgica. Per Benedetto XVI conservare non è chiudersi ma continuare nel solco di una tradizione leggendo i tempi e cercando di prestare fede alle Scritture.

In questo senso il Pontificato di Benedetto appare come antagonista alle tendenze laiciste e secolarizzanti e individuerà nel “relativismo etico” il vero problema da affrontare nel cuore della società occidentale. La summa più alta dell’elaborazione teologica e filosofica di Benedetto XVI è da individuarsi nel celebre discorso di Ratisbona, dove si struttura una critica molto ampia al razionalismo contemporaneo che diventa “ragione scientifica” “che di fronte al divino è sorda e respinge la religione nell’ambito delle sottoculture” divenendo in questo modo scorporata dall’attualità e “incapace di inserirsi nel dialogo delle culture”.

Un discorso problematico indubbiamente che mise in discussione l’impianto moderno della cultura contemporanea (compresa le teologia) e si scaglia contro la frammentazione della tradizione occidentale. Scandagliano il legame tra religione e ragione e spiegò che è “ragionevole credere e non si può credere contro la ragione”.

Questa affermazione fu accompagnata da un esempio che scatenò innumerevoli critiche da parte del mondo islamico con la citazione del dialogo che il dotto imperatore bizantino Manuele II Paleoloo ebbe nel 1391 con un colto persiano su cristianesimo e islam. Manuele II Paleologo, spiegò il Papa, "in modo sorprendentemente brusco che ci stupisce, si rivolge al suo interlocutore semplicemente con la domanda centrale sul rapporto tra religione e violenza in genere, dicendo: ‘Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava'. L’imperatore, dopo essersi pronunciato in modo così pesante, spiega poi minuziosamente le ragioni per cui la diffusione della fede mediante la violenza è cosa irragionevole. L’affermazione decisiva in questa argomentazione contro la conversione mediante la violenza è: non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio".

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Intorno a questo passaggio si scatenarono numerose polemiche nel mondo arabo, le organizzazione terroristiche islamiste minacciarono il Pontefice, molti imam convocarono il venerdì santo delle prediche contro “i crociati di Ratzinger”.

Qualche giorno dopo arrivò la precisione di Benedetto XVI: “questa citazione, purtroppo, ha potuto prestarsi ad essere fraintesa. Per il lettore attento del mio testo, però, risulta chiaro che non volevo in nessun modo far mie le parole negative pronunciate dall'imperatore medievale in questo dialogo e che il loro contenuto polemico non esprime la mia convinzione personale”.

Dopo questo incidente diplomatico Ratzinger fu invitato nella Moschea Blu di Istanbul per una preghiera congiunta con le comunità islamiche fu furono accolte anche a Castel Gandolfo. Secondo molti analisti questo “litigio furente” tra mondi determinò la possibilità di un dialogo rinnovato tra cristianesimo ed Islam su delle basi di profonda conoscenza anche dei rispettivi errori.

Tuttavia permane, dopo molti anni, l’idea che le parole di Benedetto XVI in qualche modo furono profetiche e anticiparono la tendenza di un Islam fuori controllo alla creazione di un Califatto e la determinazione della sharia come legge ordinaria delle società di diritto nei paesi arabi o ancora alla radicalizzazione religiosa di Paesi come la Turchia che per aumentare un’influenza politica sull’area ebbero a convertire la propria vocazione laica in religiosa.

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Se Ratisbona sconquassò il dibattito pubblico non furono da meno le dimissioni di Benedetto XVI da Pontefice. Su questo aspetto, il più evidente e controverso del suo pontificato le speculazioni sono state molteplici. Senza dubbio in quel l’11 febbraio del 2013, Ratzinger mostrò un profondo amore e rispetto per la Chiesa che tra scandali interno relativi a corruzione e pedofilia necessitava di una spinta innovativa che la sua appartenenza di lungo corso alla Curia non poteva garantire. Per cambiare, innovare e riformare una struttura così radicata serviva qualcun altro e si accorse, prima e meglio di altri, di quanto il potere temporale avesse potuto risultare nuovamente fatale.

Dal momento delle dimissioni alla sua morte ha vissuto con partecipazione e separazione dei poteri il suo ruolo di emerito passando le giornate tra preghiera, meditazione e scrittura nel suo piccolo monastero vaticano divenuto sempre di più un punto di riferimento morale per Papa Francesco. Tra i suoi amati gatti, per cui il pontefice emerito aveva una passione grande tanto da adottare un’intera colonia felina, la musica di Mozart, gli incontri con gli amici di sempre si è spenta la sua esistenza.

“Benedetto si sta consumando lentamente come una candela” è il pensiero che già qualche mese fa un suo vecchio amico consegnò alle cronache vaticane, una dipartita che apre una nuova stagione dentro la Chiesa in cui tornerà una sola veste bianca dentro le Mura Leonine.

Magari fino alle prossime dimissioni, perché tra le tante innovazioni del Papa “maestro di teologia” c’è quella che per il bene della Chiesa bisogna essere pronti a tutto, perché in fin dei conti il carattere mistico della Fede in Dio è fatto di grandi sorprese e molta speranza. Con questo bagaglio leggero Joseph Ratzinger, ragazzo degli anni venti e primo Papa Emerito degli ultimi secoli, si è presentato davanti al quel Dio che ha interrogato molto.

A Roma si dice “morto un Papa se ne fa sempre un altro” ma morto Ratzinger difficilmente ne rivedremo un altro.

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Massimiliano Coccia (Roma, 1985). Ha collaborato con varie testate giornalistiche tra cui "Il Manifesto", "L'Unità", "Il Messaggero". Ha lavorato per cinque anni a Radio Radicale dove si è occupato di cultura, politica estera ed attualità. Dal 2019 collabora con "L'Espresso" ed ha firmato numerose inchieste su mafie, corruzione e neofascismo. Nel settembre 2020 firma l'inchiesta sugli affari illeciti della Segreteria di Stato che porteranno alle dimissioni del cardinale Angelo Becciu. E' autore dei podcast "Amen" (Storielibere.fm) da cui è tratto questo libro, "Maxi - Il processo che ha sconfitto la mafia" (Audible) con Roberto Saviano ed ogni mattina cura la rassegna stampa "Quarto Potere" (Storielibere).
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