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Batterio killer a Verona: “In ospedale prodotti di igiene sotto gli standard minimi e sottostima”

La commissione di verifica nominata dal direttore generale della Sanità del Veneto ha bocciato senza mezze misure le pratiche di igiene adottate nel reparto di Terapia Intensiva neonatale e Pediatrica dell’ospedale della Donna e del Bambino di Borgo Trento a Verona dove il batterio killer ha colpito circa un centinaio di piccoli uccidendone quattro. Nella relazione si sottolinea anche la “sottostima e il riconoscimento tardivo del problema da parte dei medici”.
A cura di Antonio Palma
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Nella Terapia Intensiva neonatale e Pediatrica dell’ospedale della Donna e del Bambino di Borgo Trento a Verona “l’uso di prodotti a uso di soluzione alcolica è stato sotto gli standard minimi dell’Oms”, assolutamente “non sufficienti data la tipologia di pazienti gestiti”. Così la commissione di verifica nominata dal direttore generale della Sanità del Veneto ha bocciato senza mezze misure le pratiche di igiene adottate nel reparto ospedaliero dove il batterio killer ha colpito circa un centinaio di piccoli uccidendone quattro e provocando danni permanenti a nove di loro. Secondo la relazione, il Citrobacter koseri si annidava tra i rubinetti di acqua del reparto dove i sanitari avrebbero dovuto disinfettare le mani ma anche e sui biberon dei piccoli che li venivano lavati e così fra il 1 aprile del 2017 e il 1 luglio del 2020 sono stai 91 i bimbi colpiti.

In ospedale a Verona mancavano i filtri antibatterici dei rubinetti

Per le cure igieniche del bambino, è previsto l’impiego di acqua prelevata dal rubinetto dotato di filtro antibatterico, ma dall’analisi dei verbali risulta che i filtri antibatterici siano stati posizionati solo a luglio del 2020” aggiunge la relazione indicando alla base di tutto “una sostanziale carenza di cultura infettivologica”.  Sotto accusa però è anche la mancanza di comunicazione e soprattutto la sottostima di quello che stava accadendo visto che per anni, nonostante i continui casi di infezione, nessuno ha pensato di porre rimedio alle problematiche emerse.

"Riconoscimento tardivo del problema da parte dei medici"

“Esiste l’evidenza di una mancanza di comunicazione degli eventi a Regione veneto e Azienda Zero” si legge nella relazione in cui si sottolinea la “sottostima e il riconoscimento tardivo del problema da parte dei medici" con “conseguente scarso coinvolgimento del comitato infezioni ospedaliere”. Una sottostima su cui ora i familiari delle piccole vittime chiedono di fare luce. “Lo sapevano anche loro che quel batterio c’era, lo sapevano dal 2018″ ha dichiarato ad esempio Francesca Frezza la mamma della piccola Nina, la bimba deceduta lo scorso anno per l’infezione, sottolineando: "Dopo il secondo caso avrebbero dovuto chiudere tutto. Chiedo: perché non l’hanno fatto? Se lo avessero fatto, la mia Nina sarebbe viva e invece è morta con atroci sofferenze”.

I familiari: "Chi ha sbagliato deve pagare"

Lo stesso grido di dolore lanciato anche da Elisa Bettini 36enne mamma di Alice, una dei neonati morti per il batterio a Verona. “Perché l’hanno portata qui, se nel reparto c’era già il batterio? Perché hanno negato quando ho chiesto se c’erano altri casi?” si è chiesta la donna in una intervista a La Stampa. “Il tempo per piangere c’è stato, ora è il tempo della giustizia. Chi ha sbagliato deve pagare. Alice poteva essere qui con me, che almeno la morte di mia figlia serva a qualcosa. Se faccio tutto questo, è perché io non voglio che succeda a un altro bambino” ha concluso la 36enne.

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