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Anche Marisa Leo è stata uccisa dall’ex, ma inasprire le pene non risolve il problema dei femminicidi

Angelo Reina ha ucciso Marisa Leo per rivendicare la lesa maestà della donna che aveva osato lasciarlo. E poi si è tolto la vita perché aveva raggiunto il suo obiettivo.
A cura di Anna Vagli
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La vittima del femminicidio in Sicilia, Marisa Leo
La vittima del femminicidio in Sicilia, Marisa Leo

Marisa Leo è l’ennesima croce rosa di questo 2023. Aveva trentanove anni e rivestiva il ruolo di responsabile marketing e comunicazione nel settore vinicolo di un’azienda siciliana. Come tutti i copioni sanguinari di questi mesi a toglierle la vita è stato un uomo. Il suo ex uomo. Un ex compagno di vita. Che era anche il padre della loro figlia di tre anni.

Angelo Reina, quarantadue anni, l’ha uccisa con tre colpi di fucile e poi si è tolto la vita. Il movente? Ancora la lesa maestà. Niente di nuovo sotto il sole.

La decisione della donna di proseguire la sua vita lontana da un partner violento. Maltrattante. Abusante. Tossico. Anche Angelo, come tutti i narcisisti patologici, ha dimostrato di essere mosso da un’ossessione esagerata prima per se stesso. E poi per Marisa. Ingabbiato in una struttura mentale distorta e patologica.

Marisa nel 2020 lo aveva denunciato per stalking, ma lo scorso anno aveva rimesso la querela. Estinguendo il procedimento a suo carico. Così, verosimilmente in quell’ultimo appuntamento concordato per l’ennesima questione da chiarire, l’ha ammazzata.

I due si erano dati appuntamento nell’azienda Colomba Bianca tra Mazara Del Vallo e Marsala. Vivevano in case separate da tempo ma apparentemente avevano conservato buoni rapporti per il bene della loro figlia di tre anni.

E forse proprio la tranquillità familiare aveva spinto la donna a ritirare la querela. Alla fine, restava comunque il padre di sua figlia. Anche se la donna, in prima linea per contrastare la violenza sulle donne, aveva lasciato trapelare tutte le difficoltà connesse alla gestione dei rapporti proprio con l’ex.

La vittima in un video del 2019
La vittima in un video del 2019

Che cosa albergava nella mente di Angelo Reina?

La visione del mondo centrata su di sé e alimentata da un ego smisurato ha spinto Angelo ad imporre il proprio volere sopra ogni altra considerazione. Quella stessa grandiosità che lo ha portato a credere di essere al di sopra delle leggi e delle norme sociali.

Per i narcisisti patologici, l'orgoglio è un pilastro fondamentale dell'identità. Per questo, la fine di una relazione rappresenta una grave ferita per chi è afflitto da un simile disturbo della personalità.

Angelo, e tutti i soggetti come lui, era dipendente dall'ammirazione e dalla validazione degli altri per alimentare la propria fragilissima autostima. Ha quindi vissuto la rottura sentimentale, che consequenzialmente aveva poi provocato anche il disgregamento del nucleo familiare, come un attacco diretto all'ego. Al suo ego.

Un ego che aveva continuamente bisogno di alimentare attraverso l’ammirazione e il riconoscimento dell’eccezionalità da parte di chi lo circondava. Ma è stata proprio questa dipendenza dall’esterno ad essere il centro della sua vulnerabilità.

Dopo la decisione di Marisa di chiudere il rapporto, Angelo era sprofondato in una spirale di rabbia, gelosia e vendetta. Dunque, la paura di perdere il proprio status di "unico" e "straordinario" è stato il grilletto emotivo che lo ha spinto prima a mettere in atto condotte persecutorie. E poi, estinte quelle grazie alla remissione di querela, ad uccidere.

Angelo Reina era totalmente incapace di comprendere e condividere i sentimenti di quella che una volta è stata la sua compagna di vita. Ed è stata proprio tale incapacità ad averlo agevolato nel commettere il femminicidio.

Perché il deserto emotivo che lo attraversava e lo ha attraversato gli ha consentito di non provare né rimorso né senso di colpa. Il deserto emozionale è un terreno fertile capace di innescare la furia omicida di chi ne è affetto.

Perché aumentare le pene non basta per contrastare la violenza di genere?

Dopo aver sparato a colpi di fucile a Marisa, Angelo si è tolto la vita. Che cosa ci dice questo dato? Che l’inasprimento delle pene contro il femminicidio non risolve il problema. Questo perché gli uomini, motivati da un senso di incontenibile disagio, spesso scelgono di porre fine alle proprie vite, dimostrando disinteresse per le conseguenze legali dei loro atti e in generale un disprezzo per il sistema giuridico.

In concreto, questi individui non riconoscono valore né alle leggi né a chi le rappresenta. Ma sono guidati solo dal desiderio di dominare e punire le donne che hanno osato fare scelte autonome. Dunque, una volta rivendicato l’orgoglio con l’omicidio dell’ex, possono anche smettere di vivere.

Perché, in ogni caso, hanno archiviato la questione. Certamente più comodo che cercare di comprendere che cosa non funzionava nella loro misera esistenza.

Poco importa se al mondo resta anche una bambina di soli tre anni, che va ad ingrossare l’esercito di quelli che noi addetti ai lavori chiamiamo orfani speciali. Quei figli che perdono entrambi i genitori per un femminicidio-suicidio, come nel caso di Marisa e di Angelo, o per un femminicidio e conseguente traduzione in carcere del padre del piccolo o della piccola. Che è vittima due volte.

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Dottoressa Anna Vagli, giurista, criminologa forense, giornalista- pubblicista, esperta in psicologia investigativa, sopralluogo tecnico sulla scena del crimine e criminal profiling. Certificata come esperta in neuroscienze applicate presso l’Harvard University. Direttore scientifico master in criminologia in partnership con Studio Cataldi e Formazione Giuridica
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