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Adriano, disabile cognitivo e quella nota che lo discrimina

La storia di Adriano ci ricorda che un professionista della disabilità dovrebbe sapere a priori che ogni alunno ha le proprie caratteristiche e necessità, i suoi punti di forza e di debolezza. Basta con l’infilare la diversità in un unico calderone: vi prego, basta!
A cura di Iacopo Melio
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Si chiamava Diva ed è stata per qualche anno la mia professoressa di Storia e Geografia ai tempi delle Scuole Medie. Oggi purtroppo la prof Diva non c'è più perché un tumore l'ha portata via. Io conservo il ricordo, oltre che del suo profumo che sapeva di sapone di Marsiglia, della sua estrema bontà. Lei è stata una tra le migliori insegnanti che io abbia mai avuto, senza togliere nulla agli altri docenti. E lo è stata sebbene mi abbia buttato fuori dall'aula un paio di volte: l'unica a farlo, l'unica a farmici rimanere così male!

Da piccolo ero vivace e casinista quanto basta, un po' come adesso. Con un occhio positivo potremmo dire socievole ed estroverso, ma solo i miei insegnanti potranno dirvi da che parte guardare la cosa. Certo è che quelle due volte fuori dalla classe me le ero meritate, disturbando la lezione tra chiacchiere e risatine. Così la prof., come avrebbe fatto con chiunque, non ci pensò due volte a punirmi. E non ci pensò due volte nemmeno la maestra di inglese, della quale non ricordo il nome essendo supplente, che mi scrisse una nota sul diario per aver arrovesciato il cestino dei rifiuti con un calcio, preso dalla rabbia per chissà quale motivo, magari una sconfitta a "Pokémon Giallo" coi miei compagni (che tempi, quelli dei "veri" problemi…). Provvedimenti più che giusti per un bambino che poteva capire e imparare dai propri sbagli. Giusti perché segno di integrazione, in una società che ancora tratta la disabilità come sinonimo di fragilità: qualcosa da coccolare, tutelare e giustificare a tutti i costi.

La storia di Adriano

La risposta della mamma di Adriano al professore di sostegno
La risposta della mamma di Adriano al professore di sostegno
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Non tutti però hanno avuto la mia stessa fortuna nel trovare insegnanti capaci e sensibili, in grado di comprendere "chi" abbiano di fronte, "quali" siano le sue esigenze e "come" ci si rapporti al meglio. E così non l'ha avuta Adriano che a 13 anni e con un ritardo cognitivo grave si è visto sul suo quaderno una nota disciplinare tutta sua: "Oggi Adriano si è comportato male in classe. Anche se richiamato più volte ha continuato a fare piccoli rutti, disturbando la lezione". Lo ha scritto e firmato il suo stesso insegnante di sostegno, classe prima di una scuola media di Roma (zona Monte Mario).

Inutile dire che questa storia è ai limiti dell'assurdo, soprattutto per il fatto che Adriano una nota non sa nemmeno cosa sia, ma sa riconoscere bene i momenti di disagio e li manifesta con quei suoni che l'insegnante ha visto come fastidiosi e provocatori. Come se qualcuno, ai tempi, avesse punito me perché nell'ora di educazione fisica non correvo insieme agli altri.
Così Lucia, la madre 49enne, ha risposto con una contro-nota dall'ironia amara: "Ho sgridato Adriano per il suo comportamento. La nota positiva è che i rutti erano piccoli perché a casa li fa grandi."

Così la morale di questa storia, finita con la rassegnazione di chi lotta ogni giorno contro burocrazia, negligenza e superficialità, è che non possiamo spacciare tutto per inclusione. Come se una supposta di Tachipirina possa essere la medicina giusta per mal di gola, nausea, colite, emicrania, otite e broncospasmo, oltre che per la febbre (scrivo questo pezzo sotto influenza, se non si fosse capito… scusate il contagio).
Ma in particolar modo dobbiamo far capire che un professionista della disabilità dovrebbe sapere a priori che ogni alunno ha le proprie caratteristiche e necessità, i suoi punti di forza e di debolezza. Basta con l'infilare la diversità in un unico calderone: vi prego, basta!
Il professore avrebbe potuto richiamare la madre in privato e, dialogando in modo costruttivo, chiedere umilmente un consiglio per affrontare insieme la situazione, evitando che la classe venisse "disturbata" nell'apprendimento senza però emarginare Adriano stesso, magari relegandolo tutto il tempo in uno sgabuzzino a colorare come purtroppo accade a molti ragazzi con deficit cognitivi in tanti istituti scolastici.

Sia chiaro, da figlio di maestra elementare sono conscio del fatto che ci siano tantissimi insegnanti competenti, che ogni giorno si fanno "il mazzo" per organizzare il proprio lavoro diversificandolo in base alle potenzialità dei loro alunni, non solo disabili ma anche, ad esempio, con disturbi specifici dell'apprendimento (DSA) o magari extracomunitari. Resta però il fatto che il nostro sistema scolastico continui a permettere di svolgere un ruolo così importante, di supporto alle fragilità, anche a quei neolaureati che lo scelgono semplicemente per scalare la graduatoria prima di poter insegnare la materia di indirizzo, per la quale hanno studiato.
Solo perché l'empatia è una di quelle materie che purtroppo non si impara tra i banchi. E intanto troppi Adriano vengono lasciati indietro, in un meccanismo dove la diversità si punisce e viene premiata l'omologazione. A torto.

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Laureato in Scienze Politiche (curriculum in "comunicazione, media e giornalismo"). Racconta le storie degli altri come giornalista, scrittore e attivista per i diritti umani e civili. Vincitore del Premio "Cittadino Europeo" nel 2017, è stato nominato "Cavaliere dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana" da Sergio Mattarella nel 2018.
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