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Abusata e uccisa a sei anni la notte di Natale: la storia di JonBenét Ramsey

JonBenét Ramsey, sei anni, era una baby-reginetta di bellezza, aveva vinto numerosi premi e posato per centinaia di fotografie. Aveva sei anni quando è stata trovata strangolata nella cantina della villa di famiglia a Boulder, Colorado. Il suo è stato uno degli omicidi più terrificanti degli anni Novanta.
A cura di Angela Marino
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JonBenét Ramsey, la baby reginetta di bellezza più amata d'America, aveva sei anni quando fu trovata morta nella cantina di casa, il Colorado, il 26 dicembre 1996, quasi otto ore dopo la denuncia di scomparsa. Dalla chiamata al 911 alla scoperta del corpo, ecco la sua storia.

La storia di JonBenét Ramsey

Centralino del 911, Boulder, Colorado. Sono le prime luci dell’alba del giorno di Santo Stefano del 1996. Kim Archuletta, si sta prepara a concludere il turno, l’orologio segna le 5 e 50, quando il telefono squilla. Dall’altro lato della cornetta una voce femminile supplica aiuto: "Oh mio Dio, vi prego!". Come da protocollo, Kim cerca di trattenerla al telefono tutto il tempo che occorre per mandare dei soccorsi sul posto e per raccogliere tutte le informazioni del caso, ma la donna non riesce a rispondere alle domande, vaneggia. "Prenda un bel respiro, cosa succede?" – interrompe l'operatrice -"Chiamo dalla casa al 755, sulla Quindicesima, fate presto!". “Cosa succede?” – ripete Kim – “Qui – dice la donna – c’è un biglietto con una richiesta di riscatto e nostra figlia se n’è andata!”. “Quanti anni ha?” “Sei…È bionda…”. "Come si chiama?". "Patsy Ramsey, sono la madre, fate presto!". Poi cala il silenzio, la donna del centralino rimane in ascolto, la donna nella villa sulla Quindicesima riaggancia. "Patsy? Patsy?". Tre minuti dopo gli scarponi pesanti di due agenti calpestano il vialetto innevato che porta all’ingresso del 755.

La villa sulla quindicesima

Anche vista attraverso i fari della volante che filtrano il buio di dicembre, quella dei Ramsey, con la sue le finestre spaziose inghirlandate dal vischio natalizio, le guglie che svettano verso il cielo, la ciminiera in mattoni, è una villa bellissima. Una casa dove non si può immaginare paura, ma solo bellezza. Oltre la soglia il tepore natalizio si spegne per lasciare spazio a un'aria tesa, asfittica. La donna che aveva chiamato attende la polizia insieme a suo marito. Ha circa 40 anni, gli occhi azzurri e capelli castani cotonati, alla Barbara Bush. In mano, stringe tre fogli di carta scritti a penna. Al suo fianco c'è un uomo più vecchio di lei di dieci anni, è Jhon Ramsey, l'imprenditore milionario della  ‘Access Graphic’, società di servizi informatici che dà lavoro a migliaia di persone, un uomo ricco, potente, rispettato, proprietario di ville, aerei e yacht. È stanco, ma calmo e controllato. "Qui c'è la richiesta di riscatto" dice. “Mrs Ramsey, siamo un gruppo di stranieri…abbiamo tua figlia e se vuoi che veda il 1997, segui attentamente le istruzioni della lettera", firmato, S.B.T.C. Sono alcune righe di una lettera lunga tre pagine dove non si menziona mai il nome della bimba rapita. JonBenét: è questo il nome della bionda principessa dei Ramsey, un nome ereditato da un padre, Jhon Bennet Ramsey, che nella vita della piccola e di suo fratello maggiore Burke, 9 anni, era stato poco presente. Era la moglie Patsy a occuparsi dei figli quando lui era via per affari, quasi sempre per la verità. Proprio sulla secondogenita Jonbenét, quella che le assomigliava di più, Patsy aveva concentrato i suoi sforzi. Ex Miss West Virginia, Patricia Ramsey, diventata madre a 26 anni, dopo aver messo la laurea in giornalismo nel cassetto, aveva trasferito su sua figlia i suoi sogni di una vita da modella. L'aveva iscritta a tutti i concorsi dello stato del Colorado e l'aveva fatta posare per centinaia di scatti. Fotografie ambigue che ritraevano una bimba di sei anni acconciata e vestita come una donna: calze nere, vestiti a pois, rossetti e i riccioli biondi schiariti con un decolorante. Ma se le chiedevano se avesse tinto i capelli alla piccola, lei negava.

Una famiglia al di sopra di ogni sospetto

Ora sua figlia era sparita e Patricia non sapeva cosa fare, ma non era l'unica. La polizia di Boulder, la malinconica città dei libri di Jhon Fante chiusa fra le montagne del Colorado, il centro universitario dove ci sono più scienziati che criminali, si vede assolutamente impreparata a fronteggiare un caso del genere. Poco dopo nella casa dei Ramsey, dove c’è anche il piccolo Burke, di tre anni più grande della sorellina scomparsa, si riempie di poliziotti, conoscenti e amici della coppia. Una quantità di piedi che calpestavano pavimenti, mani che spostano oggetti, alterano prove, affossano l’indagine ancor prima che cominci. Nessuno si sogna di impedire, in un momento così drammatico, che quella manciata di persone venga a portare conforto alla coppia più ricca e facoltosa di Boulder né che Jhon sparisca per più di un'ora mentre si cerca sua figlia. Il pudore di quella famiglia non doveva essere violato neanche in presenza di un crimine del genere.

Il ritrovamento del corpo

Più le ore passano più tutta quella storia sembra priva di senso. In casa non ci sono segni di effrazione e quella lettera di tre pagine, ingenua e rozza, è tutto tranne che l'opera di rapitori professionisti. Alle 13, alla fine, il detective della polizia di Boulder, Linda Arndt chiede al signor Ramsey di perquisire interamente la sua casa partendo dalla soffitta. Nel giro di pochi minuti, il signor John Ramsey emerge dalla cantina con il corpo di sua figlia tra le braccia. Ha i polsi legati sulla testa, un filo intorno al collo e un pezzo di scotch sulle labbra. Otto ore dopo la chiamata per il presunto rapimento al 911, la bambina scomparsa riappare morta dal seminterrato di quella stessa casa. La polizia è sconcertata, quel caso si allontana da tutte le casistiche di rapimento di minori. Il sospetto che la lettera di riscatto sia un depistaggio diventa una certezza, ma il procuratore non intende trattare i Ramsey da sospettati. I coniugi, infatti, non vengono ascoltati prima che siano passati quattro mesi.

Lo scandalo

I media, intanto, prendono d'assalto il caso. Mentre i Ramsey si rifiutano di parlare, alcuni amici intimi della coppia, invece, non resistono alle telecamere. La vita di quella famiglia ricchissima, l'ossessione di Patsy per i concorsi di bellezza, l'eterna assenza di Jhon diventano carne da tabloid, fino alla rivelazione più scottante del caso. I risultati dell'autopsia (gallery) svelano la causa della morte di JonBenét. Sebbene la piccola avesse il collo stretto con un filo di nylon, la piccola non era deceduta per strangolamento, ma era stata precedente colpita con un grosso oggetto che le aveva sfondato il cranio. Era cerebralmente morta quando la gola le era stata stretta con il nastro. L'autopsia inoltre, rivela che la piccola era stata vittima di abusi sessuali. La notizia di quest'ultimo particolare, diffusa dalla stampa, scatena una bufera mediatica sui Ramsey, accusati di aver fatto della propria figlia, con l'esposizione di un'immagine sessualizzata e adultizzata, l'oggetto dei desideri dei pedofili e di averla esposta al pericolo, poi concretizzatosi, di essere molestata e uccisa.

Indagini controverse

Mentre nei talk show si celebravano processi sommari contro i Ramsey, negli uffici della Procura non c'è alcun segno di progresso nelle indagini. L'indagine è cominciata sotto il segno di una mancata collaborazione da parte dei Ramsey, che hanno accettato di farsi interrogare solo a patto di poter esaminare con il proprio ‘team di esperti' alcune prove. Un accordo fuori da ogni procedura siglato solo per la posizione sociale del ricco imprenditore e che non faceva che inquinare ulteriormente un'indagine già compromessa dalla perdita e dalla contaminazione delle prove e dalla mancanza di personale tecnico esperto.

I sospetti sulla madre

A un certo punto nel caso entra l'FBI, che esamina da un lato la dinamica del delitto e dall'altro i comportamenti degli attori della storia. La piccola era stata colpita con un oggetto pesante, presumibilmente una torcia regalata alla famiglia per Natale e presente sul banco della cucina (come testimoniano le foto della scena). Dopodiché, Jonbenét era stata strangolata con un filo di nylon annodato intorno a un pennello, una specie di ‘garrota' con la quale il collo della bimba era stato stretto fino a fermarle il respiro. La corda e il pennello erano stati recuperati dalla cantina, in particolare il pennello era uno di quelli utilizzati da Patsy per dipingere. L'arma o le armi del delitto (torcia e corda) erano state prelevate in casa, così come i fogli della lettera di riscatto e la penna, recuperati entrambi dai cassetti di Patsy. Posta sotto la lente dei grafologi forensi, la scrittura della lettera, risulta compatibile con quella di Patricia: i sospetti cadono sulla madre, sebbene non ufficialmente.

I sospetti su Burke Ramsey

È l'esame della telefonata al 911 a indirizzare gli agenti del Federal bureau su un altra figura presente in quella casa. Utilizzando una tecnologia all'avanguardia gli esperti riescono a decifrare sei secondi di conversazione alla fine della chiamata, quando l'operatrice era in ascolto e Patsy, credendo di aver riagganciato, continuava a parlare con altre persone. Emergono tre voci distinte: "Non stiamo parlando con te", dice una voce maschile, verosimilmente quella di Jhon Ramsey, in tono perentorio. "Che cosa hai fatto? Oh, Gesù, aiutami!", dice Patsy, mentre la voce di un bambino, l'ultima, dice: "Che cosa avete trovato?". I Ramsey avevano sempre sostenuto convintamente che Burke, il primogenito di 9 anni, avesse dormito tutta la notte fino all'arrivo della polizia, ma la telefonata li smentisce.

Tutto il quadro si ribalta. Se i coniugi avevano mentito, inscenando uno strangolamento e poi un rapimento, lo avevano fatto per coprire il proprio figlio, un bambino di 9 anni, non per difendere se stessi. Il giorno prima, racconta una domestica di casa Ramsey, avevano scartato i regali di Natale e Burke si era molto arrabbiato per i bellissimi doni ricevuti dalla sorellina, la ‘reginetta'. Quella notte, secondo i Ramsey, sarebbero andati a letto per poi risvegliarsi al mattino ritrovando il letto di JoBenét, vuoto, ma è ancora una volta l'autopsia a correggere la ricostruzione. Nello stomaco della bimba vengono trovati resti di un ananas consumato poco prima del decesso, presumibilmente, dopo la mezzanotte, ma i genitori negano di averglielo dato. La piccola si era alzata nella notte, affamata, e aveva fatto uno spuntino con il frutto trovato sul banco della cucina. Burke, che voleva per sé il frutto, si sarebbe molto arrabbiato e l'avrebbe colpita con la torcia trovata sul piano. Poi avrebbe allertato i genitori e questi, avrebbero scoperto l'omicidio e lo avrebbero coperto. È pressappoco la ricostruzione che fanno gli agenti del FBI, vicinissimi alla verità, ma ancora lontani dalla completezza del quadro.

Il DNA ignoto

L'esame del DNA effettuato sui resti indica la presenza di due profili genetici sconosciuti sul corpo della piccola. Vengono messi a confronto con quelli presenti nell'archivio nazionale del DNA, ma non trovano corrispondenza con nessuno di quelli prelevati dai criminali. La circostanza, però, finisce per scagionare definitivamente Jhon, Patricia e Burke.

La confessione di Gary Oliva

Patricia è morta dieci anni dopo l'omicidio di sua figlia per un cancro alle ovaie, ed è stata sepolta accanto a JonBenét. John Ramsey si è risposato nel 2011. Burke Ramsey, oggi trentenne, è diventato un ingegnere informatico e dopo la morte di sua madre ha rilasciato un'intervista in cui ribadisce la propria innocenza. Il video ha scatenato non poche polemiche per lo strano linguaggio del corpo di Ramsey, che, mentre parla dell'omicidio della sorellina, non smette di sorridere. Nel 2019 Gary Oliva, pedofilo detenuto per un’altra condanna, ha ammesso in una lettera a un amico di essere l'autore dell’omicidio di JonBenét Ramsey. Oliva era tra gli iniziali sospettati dell'omicidio, ma la polizia non aveva mai trovato prove contro di lui.

Nonostante la confessione la storia dell'omicidio della piccola Barbie americana, nasconde ancora dei misteri. Nonostante alcuni giornalisti investigativi, tra cui, James Kolar e profiler dell'FBI come Jim Clemente, si siano avvicinati a una verosimile ricostruzione dell'omicidio, resta una domanda, forse la più importante: chi abusava regolamente della bimba?

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Giornalista dal 2012, scrittrice. Per Fanpage.it mi occupo di cronaca nera nazionale. Ho lavorato al Corriere del Mezzogiorno e in alcuni quotidiani online occupandomi sempre di cronaca. Nel 2014, per Round Robin editore ho scritto il libro reportage sulle ecomafie, ‘C’era una volta il re Fiamma’.
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