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Scuola, la maggioranza dei prof italiani non conosce l’inglese

È quanto emerge dal VII rapporto dell’Osservatorio nazionale sull’internazionalizzazione delle scuole e la mobilità studentesca promosso dalla Fondazione Intercultura. Solo il 18% si può definire un docente “internazionale” con esperienze all’estero o collaborazione con colleghi stranieri.
A cura di Susanna Picone
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Gli insegnanti italiani sono troppo “local”. Non hanno maturato esperienze all’estero e sono ancorati a un modo classico di concepire la scuola, basato più sul possesso della materia di studio che sull’esperienza sul campo. È quanto emerge dal VII rapporto dell’Osservatorio nazionale sull’internazionalizzazione delle scuole e la mobilità studentesca promosso dalla Fondazione Intercultura. La ricerca è stata realizzata intervistando 480 docenti delle scuole secondarie di secondo grado, rappresentativi di tutto il corpo di riferimento, e 63 presidi delle scuole secondarie di secondo grado, anche loro rappresentativi del corpo a cui appartengono. È emerso che solo il 18% degli insegnanti italiani ha maturato esperienze di insegnamento all'estero o collaborazioni con docenti di altri Paesi. A fronte di questo 18% di docenti “internazionali” c’è un 60% che non ha né formazione all'estero né esperienze internazionali. Un altro 22% di insegnanti ha un “potenziale di internazionalità”, avendo partecipato a corsi di lingua o avendo coinvolto i propri studenti in progetti all'estero come gli scambi di classe e gemellaggi.

La scuola italiana non può ancora definirsi internazionale – Dal rapporto Intercultura è emerso anche che la maggioranza degli insegnanti italiani ammette di non conoscere bene l’inglese. Il 57% valuta infatti la propria conoscenza dell'inglese bassa o medio/bassa. I prof della scuola secondaria in Italia guadagnano punti quando si parla di qualità dell'insegnamento (6,2) mentre vengono bocciate la capacità di accoglienza e valorizzazione degli studenti stranieri (5,8), il grado di insegnamento delle lingue straniere (5,4), la capacità di formare cittadini europei (5,3), l'apertura a collaborazioni con scuole estere (5,1), la predisposizione al cambiamento (5,0), il sostegno ai programmi di mobilità individuale degli studenti (5,0), il grado di partecipazione ai programmi internazionali (4,9). Insomma, dalla ricerca emerge una scuola italiana che non può ancora definirsi internazionale. Il 73% dei presidi ritiene che la riforma della scuola in atto migliorerà il processo di internazionalizzazione mentre i prof rimangono scettici: solo il 40% ritiene che la riforma aiuterà le scuole ad assumere un profilo più internazionale, mentre il 27% è di parere completamente opposto.

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