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Legambiente: 7 milioni di italiani vivono in aree a rischio frane e alluvioni

Nel rapporto Ecosistema Rischio 2016, una fotografia degli ultimi dieci anni: nell’88% dei comuni coinvolti sono state urbanizzate aree a rischio di esondazione o a rischio di frana; nel 38% si sono costruiti fabbricati industriali, nel 12% scuole e ospedali, nel 18% strutture ricettive e nel 23% strutture commerciali.
A cura di Claudia Torrisi
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Nonostante gli allarmi e le raccomandazioni, negli ultimi dieci anni in Italia si è continuato a costruire in zone a rischio. Circa 7 milioni di persone nel nostro paese convive quotidianamente con il pericolo di frane e alluvioni, una situazione che riguarda quartieri presenti in oltre 400 comuni. Sono i dati che emergono dal rapporto Ecosistema Rischio 2016, realizzata da Legambiente. Un'indagine che ha coinvolto 1.444 comuni italiani, cui è stato sottoposto un questionario. Per quanto riguarda gli ultimi dieci anni, nell'88% dei casi sono state urbanizzate aree a rischio di esondazione o a rischio di frana; nel 38% si sono costruiti fabbricati industriali, nel 12% scuole e ospedali, nel 18% strutture ricettive e nel 23% strutture commerciali. Se si va ancora indietro nel tempo, i numeri sono più alti: in 1.074 comuni – il 77% – ci sono abitazioni che si trovano in aree a rischio. Nel 31% dei casi interi quartieri, nel 51% impianti industriali, nel 18% scuole e ospedali, nel 25% edifici commerciali. Secondo Legambiente solo il 4% delle amministrazioni ha deciso interventi di delocalizzazione di edifici abitativi. Una percentuale che scende all'1% per gli insediamenti industriali.

Secondo il responsabile scientifico di Legambiente Giorgio Zampetti, "ci vuole un'inversione di tendenza: occorre fermare il consumo di suolo, programmare azioni che favoriscano l'adattamento ai mutamenti climatici e operare per la diffusione di una cultura di convivenza con il rischio".

Spesso le amministrazioni prevedono degli interventi, ma con scarsi risultati in termini di reale prevenzione. Nei 982 comuni in cui si sono verificate opere di messa in sicurezza, nel 42% dei casi si è trattato di nuovi argini – che spostano soltanto il problema. Solo il 12% delle amministrazioni ha ripristinato aree di espansione naturale dei corsi d'acqua e solo 47 comuni hanno provveduto al rimboschimento dei versanti montuosi più fragili – mentre il 45% ha realizzato opere di consolidamento. L'8%, invece, ha gettato ancora asfalto, con lavori di tombamento e copertura di corsi d'acqua. Un'attività di manutenzione ordinaria regolare delle sponde dei corsi d'acqua è svolta da due comuni su tre. Quattro su cinque, invece, hanno dichiarato di aver preparato piani urbanistici con la perimetrazione delle zone a rischio idrogeologico e di essere provvisti di un piano di emergenza. Solo il 46%, però, lo ha aggiornato; mentre il solo 30% ha adeguatamente formato e informato la popolazione.

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