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La lettera di Marta Herling al Corriere del Mezzogiorno

Caso Benedetto Croce: la lettera che nel marzo 2011 Marta Herling, nipote del filosofo, scrisse al direttore del Corriere del Mezzogiorno, Marco Demarco.
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Questa è la lettera che nel marzo 2011 Marta Herling, nipote del filosofo Benedetto Croce, scrisse al direttore del Corriere del Mezzogiorno, Marco Demarco per smentire la storia secondo la quale Croce avrebbe offerto soldi in cambio del suo salvataggio dal terremoto di Casamicciola (Ischia).

La vicenda è alla base della maxi richiesta di risarcimento dello scrittore casertano ai danni dell'editore del Corriere.

Caro direttore,
in uno dei suoi monologhi televisivi ora raccolti nel volume Vieni via con me (Feltrinelli), Roberto Saviano afferma (Il terremoto a L'Aquila, p. 7): «Nel luglio del 1883 il filosofo Benedetto Croce si trovava in vacanza con la famiglia a Casamicciola, a Ischia. Era un ragazzo di diciassette anni. Era a tavola per la cena con la mamma, la sorella e il padre e si accingeva a prendere posto. A un tratto, come alleggerito, vide suo padre ondeggiare e subito sprofondare sul pavimento, mentre sua sorella schizzava in alto verso il tetto. Terrorizzato, cercò con lo sguardo la madre e la raggiunse sul balcone, da cui insieme precipitarono. Svenne e rimase sepolto fino al collo nelle macerie. Per molte ore il padre gli parlò, prima di spegnersi. Gli disse: "Offri centomila lire a chi ti salva". Benedetto sarà l’unico supersite della sua famiglia massacrata dal terremoto».

Da dove l’autore di Gomorra ha tratto la ricostruzione di quella tragedia? Dalla sua mente di profeta del passato e del futuro, di scrittore la cui celebrità meritata con la sua opera prima, è stata trascinata dall’onda mediatica e del mercato editoriale, al quale è concesso di non verificare la corrispondenza fra le parole e fatti, o come insegnano gli storici, fra il racconto, la narrazione degli eventi, e le fonti, i documenti che ne sono diretta testimonianza. Uno scrittore che vuole riscrivere quello che altri hanno scritto non con le sole parole ma con l’esperienza vissuta: dal terremoto di Casamicciola, ad Auschwitz, al gulag, alla Kolyma. Dove Saviano ha orecchiato la storia che racconta nell’incipit del suo monologo? Certo non dalla lettura del testo del suo protagonista principale poiché sopravvissuto, Benedetto Croce, testo che si è tramandato intatto senza una parola in più di commento o di spiegazione, nella nostra memoria famigliare e nelle biografie del filosofo, che lo riportano a illustrare quella pagina tragica della vita sua e dei suoi cari. Ora lo citiamo integralmente per il rispetto e la considerazione che abbiamo dei milioni di ascoltatori del Saviano in versione televisiva e dei lettori, della sua versione a stampa. E per la dignità del ricordo di chi quella tragedia ha vissuto e potuto testimoniare.

Nelle Memorie della mia vita (10 aprile 1902), Benedetto Croce scrive: «Nel luglio 1883 mi trovavo da pochi giorni, con mio padre, mia madre e mia sorella Maria, a Casamicciola, in una pensione chiamata Villa Verde nell’alto della città, quando la sera del 29 accadde il terribile tremoto. Ricordo che si era finito di pranzare, e stavamo raccolti tutti in una stanza che dava sulla terrazza: mio padre scriveva una lettera, io leggevo di fronte a lui, mia madre e mia sorella discorrevano in un angolo l’una accanto all’altra, quando un rombo si udì cupo e prolungato, e nell’attimo stesso l’edifizio si sgretolò su di noi. Vidi in un baleno mio padre levarsi in piedi e mia sorella gettarsi nelle braccia di mia madre; io istintivamente sbalzai sulla terrazza, che mi si aprì sotto i piedi, e perdetti ogni coscienza. Rinvenni a notte alta, e mi trovai sepolto fino al collo, e sul mio capo scintillavano le stelle, e vedevo intorno il terriccio giallo, e non riuscivo a raccapezzarmi su ciò che era accaduto, e mi pareva di sognare. Compresi dopo un poco, e restai calmo, come accade nelle grandi disgrazie. Chiamai al soccorso per me e per mio padre, di cui ascoltavo la voce poco lontano; malgrado ogni sforzo, non riuscii da me solo a districarmi. Verso la mattina, fui cavato fuori da due soldati e steso su una barella all’aperto. Mio cugino fu tra i primi a recarsi da Napoli a Casamicciola, appena giunta notizia vaga del disastro. Ed egli mi fece trasportare a Napoli in casa sua. Mio padre, mia madre e mia sorella, furono rinvenuti solo nei giorni seguenti, morti sotto le macerie: mia sorella e mia madre abbracciate. Io m’ero rotto il braccio destro nel gomito, e fratturato in più punti il femore destro; ma risentivo poco o nessuna sofferenza, anzi come una certa consolazione di avere, in quel disastro, anche io ricevuto qualche danno: provavo come un rimorso di essermi salvato solo tra i miei, e l’idea di restare storpio o altrimenti offeso mi riusciva indifferente» .

Non è necessario, né opportuno, sottoporre i due testi a un confronto per evidenziarne le discrepanze, che balzano agli occhi di chiunque li legga l’uno dopo l’altro. Fra tutti i particolari che riporta Saviano, e che non corrispondono alla testimonianza di Croce, uno colpisce: non solo perché inventato dallo scrittore (licenza inaccettabile quando si parla di fatti realmente accaduti), ma improponibile in sé. «Per molte ore il padre gli parlò, prima di spegnersi. Gli disse: “ Offri centomila lire a chi ti salva”». Quel parlare nell’agonia, separati, soffocati e sepolti dalle macerie…; quella cifra inimmaginabile per l’anno 1883, perché non bisogna essere economisti per sapere che il valore della lira a quell’epoca impedisce di supporre una simile offerta dalla mente e soprattutto dalle tasche degli uomini di allora. Forse Saviano ha orecchiato la testimonianza di un turista tedesco in vacanza a Casamicciola nel 1883, il quale in un libretto di recente pubblicato dichiara di aver ascoltato la voce di chi identifica con Benedetto Croce, dalle macerie, offrire una certa somma per essere liberato? Ma come può essere credibile nella foga del suo monologo? Perché nel messaggio che Saviano ci vuole comunicare e imporre, questo fa intendere: «mazzette» allora per i terremoti, «mazzette» oggi, la storia si ripete e soprattutto si perpetuano i grandi mali del nostro Mezzogiorno, mali atavici dai quali non può essere immune nessuno di noi, che abitiamo queste terre e abbiamo vissuto i loro terremoti — ultimi quelli dell’Irpinia del 1980 e dell’Abruzzo del 2009 — proprio perché non ne sarebbe stato immune, anche se inconsapevolmente per la necessità imposta dalla tragedia, uno dei loro più illustri figli. Caro Saviano, mi dispiace, c’è anche chi non offre e non riceve «le mance e le mazzette» : questa è mistificazione della storia e della memoria.

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Giornalista professionista, capo cronaca Napoli a Fanpage.it. Insegna Etica e deontologia del giornalismo alla LUMSA. Ha una newsletter dal titolo "Saluti da Napoli". È co-autore dei libri "Il Casalese" (Edizioni Cento Autori, 2011); "Novantadue" (Castelvecchi, 2012); "Le mani nella città" e "L'Invisibile" (Round Robin, 2013-2014). Ha vinto il Premio giornalistico Giancarlo Siani nel 2007 e i premi Paolo Giuntella e Marcello Torre nel 2012.
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