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Opinioni

Il caso Raggi è una conferma: il M5s deve puntare al caos del sistema

La Raggi sta completando nel modo peggiore un percorso cominciato male e viziato da una pregiudiziale “ideologica”: l’essersi mossa in continuità con lo “spirito” delle precedenti amministrazioni capitoline. Che ne è stato della “diversità” del MoVimento 5 Stelle? È questo quello per cui il MoVimento è nato?
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La Raggi sta completando un percorso disastroso che la porterà, è questione di tempo, a chiudere prima possibile la sua esperienza al Campidoglio e nel MoVimento 5 Stelle. Sono molti a esserne convinti all'interno del MoVimento 5 stelle, al di là delle smentite di rito e della compattezza imposta dallo stato maggiore. Tanto che l'idea di tagliare la Raggi è circolata con forza, in particolare fra i fedelissimi di Grillo e gli esponenti "storici" del MoVimento.

Il peccato originale di Virginia Raggi, accusano gli "integralisti", è quello di aver rinunciato allo spirito del MoVimento ed essersi mossa sulla falsariga della politica tradizionale, utilizzandone schemi e strategie. Nessuna rivoluzione al Campidoglio, né nelle forme della partecipazione politica, né negli atti amministrativi e nemmeno dal versante della trasparenza e dell'informazione ai cittadini. Democrazia diretta, programma condiviso e partecipativo, trasparenza gestionale, open data, cittadini e movimenti protagonisti, nessun compromesso con il malaffare, lotta alla burocrazia: parole che hanno finito col perdere di significato, perse tra lo stillicidio di inciampi, errori, nomine, trame oscure e scelte insensate dei primi mesi di Governo della Capitale. Il punto non sono gli errori né l'inesperienza, ma che non si riesca a distinguere la gestione della Raggi dalle precedenti; il paragone con Marino, poi, è addirittura imbarazzante, almeno se si guarda all'impatto che il chirurgo ebbe sul Moloch del Campidoglio sul versante della trasparenza burocratica e dell'attacco a rendite di posizione e potentati. Per ora, Raggi si è distinta per una serie di "no" (in alcuni casi con buona ragione, a parere di chi scrive), per i casini legati alle nomine e per i tanti compromessi con i "vecchi ambienti" della vita politica romana. Qualche palazzinaro sarà più nervoso, certo. Qualche dirigente comunale dovrà faticare un po' di più, forse. Qualche affarista dovrà fare giri più lunghi, magari. Ma quel "sistema" che avrebbe dovuto scardinare, distruggere, ribaltare, continua a godere di ottima salute.

Grillo, nella sua lettera di sostegno alla Raggi, scrive: "Il sistema ha paura di noi". E ripete che chi è contro di lei è contro il M5s.

La verità è che, quello della Raggi, si configura come il primo vero tentativo di "istituzionalizzare" il MoVimento 5 Stelle, di utilizzare il consenso popolare per scalare un sistema di potere e sovrapporre ai vecchi potentati il proprio gruppo politico / di interesse. Un esperimento guardato con favore, non a caso, da quella parte del M5s meno "movimentista" e più istituzionale, più attenta agli equilibri esterni e più avvezza a trattare con i centri nevralgici del potere politico, economico e istituzionale. Intendiamoci, non si tratta di un fronte esiguo, o di una parte minoritaria del MoVimento, bensì di quel gruppo che ha trovato prima degli altri la risposta alla domanda "che fare con tutti questi voti", riuscendo poi a convincere Grillo della necessità di operare una svolta nel senso della trasformazione del M5s in partito "tradizionale". Per giunta, un organismo non scalabile né contendibile, egemonizzato dal ruolo della Casaleggio e dal carisma di Grillo, in cui le individualità cominciano ad assumere un peso sempre maggiore.

È un cambiamento cominciato da tempo, che ha prodotto un partito gerarchico e strutturato, con una serie di corpi intermedi e di sottostrutture, con una comunicazione (quasi) esclusivamente top – down, con codici di comportamento e regolamenti che non hanno più nulla della creatura aperta e inclusiva delle origini.

Un MoVimento che ha lasciato in secondo piano “la riflessione ideologica, la declinazione di una identità politica come precondizione della discussione programmatica, la scelta di riferimenti chiari che vadano oltre un post ideologismo generico e vuoto”. E che rischia di andarsi a giocare una partita decisiva ,in un momento in cui le angosce della politica sembrano regalare praterie alle forze non tradizionali, senza il suo talento più puro e più efficace: la diversità "ontologica" di chi è nato come reazione a una certa politica e ora rischia di finirne fagocitato.

Del resto, cosa rimane quando a un movimento togli tutto ciò e, in più, elimini dall’alto i contrasti, le questioni spinose e divisive, le polemiche interne, il dissenso? Rimane la gestione amministrativa fine a se stessa. Rimane la politica priva di spinta ideale e costretta a inseguire “i fatti” senza bussola o programma. Rimane una enorme macchina da consenso, pericolosa forse per qualche politico incapace di fiutare l'aria, ma, in fin dei conti, funzionale al sistema.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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