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Il caso Gambirasio e la morte della presunzione d’innocenza e del buon giornalismo

Un Ministro dell’Interno dà in pasto ad una stampa affamata di giustizialismo la notizia dell’individuazione dell’assassino di Yara Gambirasio, uccidendo la presunzione di innocenza e il garantismo. Ancora una volta.
A cura di Charlotte Matteini
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Ieri pomeriggio è irrevocabilmente morta la presunzione d’innocenza. Dopo essere stata strattonata, maltrattata, calpestata, presa a calci, vilipesa e massacrata per anni, ieri è stata definitivamente ammazzata da un Ministro della Repubblica prima, dai giornalisti italiani subito dopo. Verso le quattro del pomeriggio, arriva la notizia bomba, direttamente dalla bocca del Ministro dell’Interno Angelino Alfano: “E’ stato individuato l’assassino di Yara Gambirasio”. Presunto assassino. Ma il “presunto” non è pervenuto. Alfano, senza bisogno di alcun processo, ha già decretato la colpevolezza dell’indagato e lo ha gettato nella sudicia arena della lapidazione a mezzo stampa.

L’inadeguato Ministro Alfano non è stato l’unico ad aver tenuto una deprecabile e indegna condotta. Nel giro di pochissimi minuti i quotidiani di mezza Italia hanno iniziato a dare la notizia, alcuni, pochissimi, mantenendo un comportamento deontologicamente corretto, altri, la stragrande maggioranza, hanno invece cominciato a pasteggiare come iene con il cadavere di Yara. Per attirare più click possibili, sui social network hanno iniziato ad apparire centinaia e centinaia di post che berciavano: “Arrestato l’assassino di Yara. Clicca qui per scoprire il nome e il cognome”. E del nome e del cognome, a quell’ora non c’era ancora alcuna traccia. Il nome, purtroppo, è venuto fuori un paio d’ore scarse più tardi, mentre il presunto autore del delitto era ancora sotto interrogatorio e il GIP non aveva ancora convalidato il fermo.

E così la presunzione di innocenza è morta. Agonizzante ormai da troppi decenni, ha lasciato definitivamente la scena all’imperituro sciacallaggio di massa da social network. Nome, cognome, foto private, ricostruzioni di una presunta vita privata operate da giornalai senza scrupoli che hanno impiegato poco meno di due ore per confezionare il nuovo “mostro da prima pagina”. Rispetto per le indagini? Nessuno. Rispetto per i diritti di un imputato? E perché mai? Molto meglio provare a monetizzare la notizia pruriginosa a suon di click, fomentando senza ritegno una lapidazione mediatica rabbiosa. I commentatori inferociti danno sfogo ai loro più bassi istinti animali attraverso i social network, trasformandosi in perfetti Robespierre e nostalgici sostenitori del Regime del Terrore, insultando e minacciando il presunto assassino, la sua famiglia, le sue figlie, persino i cani e la sua passione animalista. Su Facebook spuntano come funghi pagine e gruppi che inneggiano alla lapidazione vera e propria, aizzati dal rincorrersi di notizie e siparietti da avanspettacolo dei talk show che altro scopo non hanno che l’eccitare e l’istigare la rabbia collettiva di piazza.

E questo sarebbe buon giornalismo? Questa spazzatura mediatica corrisponderebbe al“diritto di cronaca” secondo i giornalisti italiani? E la tanto osannata essenziale presenza dell’Ordine dei Giornalisti, l’organo che dovrebbe garantire il rispetto della deontologia professionale e della buona informazione, alla luce dei fatti, non è l’ennesima inutile corporazione che solo a parole è utile allo scopo che si prefigge?
Fare a pezzi la presunzione di innocenza, distruggere le vite degli imputati, delle loro famiglie, dei loro parenti, scavare nella vita di persone morte da un decennio perché probabilmente collegate al presunto assassino e sbattere in prima pagina le loro debolezze e le loro vicissitudini familiari può essere considerato tollerabile? Questo è sciacallaggio, non giornalismo. Questa condotta uccide il Giornalismo in nome di facili guadagni e scroscianti applausi del pubblico dei talk show di Nera. Irrispettosa ed esecrabile condotta, non solo nei confronti dei principi garantisti sanciti dalla tanto acclamata Costituzione della Repubblica Italiana, ma anche e soprattutto nei confronti dei genitori della vittima.

Dopo l'inarrestabile e incontrollabile fuga di notizie, anche i PM hanno fatto notare il loro disappunto ad Alfano, dichiarando che avrebbero voluto mantenere il massimo riserbo sulla svolta del caso Gambirasio, ma il nostro prode garantista a corrente alternata ha risposto: “Io non ho fornito dettagli. E comunque l’opinione pubblica aveva diritto di sapere”. Agghiacciante. Agghiacciante anche solo pensare che l’opinione pubblica abbia il diritto di essere aizzata in questa maniera da politici e giornalisti, che abbia il diritto di trasformarsi in una folla inferocita irrazionale che chiede la testa, nel migliore dei casi, di colui che nei fatti resta un indagato, un indiziato, un presunto colpevole.
Io non so se Bossetti sia il vero colpevole dell’omicidio di Yara. Io sono solo convinta che i principi garantisti siano sacrosanti e che vadano salvaguardati a tutti i costi proprio per evitare che la deriva forcaiola sostituisca ciò che dovrebbe essere Giustizia con un becero Giustizialismo rancoroso, bilioso e irrazionale, con il rischio di ritrovarci nel giro di pochissimo tempo a doverci confrontare con una dittatura del pubblico ludibrio che condanna preventivamente chiunque abbia la sfortuna di trovarsi imbrigliato nelle maglie della malagiustizia all’italiana. Un assaggio di questo scenario lo stiamo già vivendo sulla nostra pelle da molti anni e il caso di Yara Gambirasio non è che l’ennesimo di una lunga serie di orrori mediatici scaturiti dall’insistente e ossessiva fame di scandali, di voyeurismo e di scabrosi dettagli dell’italiano medio.

Tortora, Daniele Barillà, Gino Girolimoni, Gigi Sabani, Lelio Luttazzi, Walter Chiari, Pietrino Vanacore, Salvatore Pappalardi, Patrick Lumumba, Giuseppe Gulotta, Raniero Busco. L’elenco dei “mostri da prima pagina per sbaglio” sarebbe ancora più lungo, molto più lungo. Sono 22323 sono gli orrori giudiziari accertati e risarciti, dal 1991 al 2013 in Italia. Raggiungiamo i 50.000 calcolando anche tutti coloro che da prosciolti hanno visto rifiutata la loro richiesta di risarcimento.
575.698.145 euro è il prezzo degli ultimi 22 anni di Malagiustizia italiana.
Cari politici, cari giornalisti, cari "Leoni da Social Network", la prossima volta che vorrete giocare al “piccolo forcaiolo” o che calpesterete la presunzione d'innocenza perché il presunto colpevole vi sta sulle palle, ha una brutta faccia dai tratti lombrosiani, è antipatico, è nero, blu, bianco, rosso o verde, pensate un po' a questi nomi, a queste storie e a questi numeri e riflettete sui danni che potrebbe provocare l'eccesso di giustizialismo giudiziario e mediatico sulle vite di persone che potrebbero rivelarsi innocenti.

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