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Processo sulla morte di Stefano Cucchi

Cucchi, giudici: “Omissioni dei medici, ma non si sarebbe salvato”. Ilaria: “Indignata”

Per la sentenza d’appello bis i medici del Pertini hanno “colposamente omesso di diagnosticare la sindrome da inanizione” e “di attuare i presidi terapeutici necessari”. Tuttavia, considerato che “la malnutrizione di Cucchi era in stato di avanzato rischio”, non è dimostrabile che se “avessero posto in essere la condotta omessa” Stefano si sarebbe salvato. Legale della madre: “Situazione paradossale”. Ilaria: “Non è un processo normale, mi rivolgo a presidente di Anm e a Csm”.
A cura di Claudia Torrisi
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A pochi giorni dalla diffusione della discussa perizia sulle cause della morte di Stefano Cucchi, sono state rese note le motivazioni della sentenza d'appello bis che ha assolto lo scorso luglio i cinque medici dell'ospedale Pertini di Roma che hanno avuto in cura il trendaduenne dopo l'arresto. Secondo i giudici della III Corte di Assise, i sanitari hanno "colposamente omesso di diagnosticare la sindrome da inanizione" – ossia un indebolimento complessivo derivante dalla soppressione o drastica riduzione dell'alimentazione – ma "appare logicamente poco probabile che Cucchi si sarebbe salvato". Insomma i cinque dottori – il primario Aldo Fierro e i medici Stefania Corbi, Flaminia Bruno, Luigi De Marchis Preite e Silvia Di Carlo – hanno omesso "di inquadrare il caso nelle sue linee generali e, conseguentemente, di attuare i presidi terapeutici necessari".

Secondo la sentenza dell'appello bis, la causa della morte sarebbe proprio la "sindrome da inanizione", causata "da un'insufficiente alimentazione e idratazione iniziata prima dell'arresto alla quale devono aggiungersi le patologie da cui era affetto (epilessia, tossicodipendenza e riferito morbo celiaco), lo stress per i dolori delle lesioni lombo-sacrali e un ‘quasi' digiuno di protesta". Elementi che, secondo i giudici, "hanno contribuito ad aggravare lo stato di deperimento organico in cui il paziente già si trovava a causa della grave denutrizione da cui era affetto".

Cucchi, hanno scritto i giudici d'appello, "durante la permanenza presso la predetta struttura non ha mangiato e bevuto a sufficienza", ma "prima del 19 ottobre 2009" la sua sintomatologia "costituita sostanzialmente dall'estrema magrezza, mancanza di tessuto adiposo e di muscolatura, non consentiva di porre la diagnosi di ‘sindrome da inanizione'", che è comunque una "diagnosi non facile, non rientrando la complessa materia nelle normali competenze di un medico".

La sentenza sostiene che il decesso di Stefano Cucchi sia stato causato "dall'alterazione dei processi metabolici" derivanti dalla sindrome da inanizione che, "producendo il deterioramento e la morte delle cellule, ha innescato quella che i periti hanno definito la causa ultima dell'exitus, che può essere dipesa sia da motivi cardiaci, come sostenuto dai consulenti del pm, sia da problemi neurologici, come sostenuto dai consulenti delle parti civili". Questa ricostruzione dei fatti sarebbe "l'unica che consente di spiegare la costellazione di segni e di sintomi che il paziente presentava". Alla luce di questo, i medici avrebbero dovuto certamente "pervenire alla diagnosi", ma considerato che "la malnutrizione di Cucchi era in stato di avanzato rischio quoad vitam già a settembre 2009" per i giudici "non vi è un'elevata probabilità logica che eventuali presidi terapeutici posti in essere" il giorno del ricovero, il 19 ottobre, "peraltro nel tardo pomeriggio", avrebbero potuto salvarlo dalla morte.

Insomma, per i giudici di secondo grado, i medici "hanno colposamente omesso di diagnosticare la sindrome da inanizione, da cui il paziente era affetto, di inquadrare il caso nelle sue linee generali e, conseguentemente, di attuare i presidi terapeutici necessari", ma al tempo stesso la Corte non ha ritenuto dimostrabile che se i medici "avessero posto in essere la condotta omessa (diagnosi e terapia della sindrome da inanizione), allorquando la sintomatologia era indicativa della malattia da cui il paziente era affetto, avrebbero potuto, alla stregua di un giudizio di elevata probabilità logica, salvare la vita del paziente o ridurre la lesività della malattia", considerato che "le sue condizioni erano ben peggiori di quelle ipotizzate dai periti, che hanno, peraltro espresso un giudizio approssimativo".

La sindrome da inanizione era stata ritenuta la causa della morte di Cucchi anche nella sentenza primo processo d'appello – che aveva assolto i medici. I giudici l'avevano ritenuta "l’unica in grado di fornire una spiegazione dell’elemento più appariscente e singolare del caso in esame e cioè l’impressionante dimagrimento cui è andato incontro Cucchi nel corso del suo ricovero" nel padiglione carcerario dell’ospedale Sandro Pertini.

Per il legale della madre di Stefano Cucchi, l'avvocato Stefano Maccioni, "siamo a una situazione paradossale": "A pochi giorni di distanza abbiamo una sentenza che afferma che Cucchi è morto per inanizione, una perizia che invece sostiene che la causa della morte è l'epilessia oppure la vescica neurologica. Quello che è certo è che quello che è avvenuto è legato casualmente alle lesioni subite da Stefano".

"Come sorella di Stefano e come cittadina sono indignata e amareggiata per un processo che normale non è", ha commentato Ilaria Cucchi, che si è poi rivolta "al presidente di Anm e al Csm per sapere se considerano ‘fisiologico' l'andamento processuale sulla morte di Stefano. E se tutto questo sarebbe ugualmente accaduto se non gli fosse stata tolta la vita quando era nelle mani dello Stato".

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