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Contro ogni forma di nazionalismo: in difesa della solidarietà tra gli Stati

Oggi il vero internazionalismo è antitetico all’ordinamento capitalistico: è un rapporto solidale tra Stati che non si chiudono in se stessi, ma si relazionano agli altri in maniera comunitaria e pacifica.
A cura di Diego Fusaro
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Il vero internazionalismo come nesso solidale tra Stati sovrani democratici e comunitaristi si pone come antitesi tanto del mondialismo capitalistico dell’economia, quanto del nazionalismo imperialistico che nega l’idea stessa di nazione nella misura in cui neutralizza il diritto di esistere per le altre nazioni. Era questa la forma dominante del colonialismo ottocentesco e dell’imperialismo novecentesco. Ma è questa, ancora, la forma che oggi tende a riaffiorare indebitamente come reazione al mondialismo capitalistico mediante progetti di sovranismo nazionalista.

I quali, in nome dell’opposizione alle tragedie della mondializzazione, aspirano alla rilegittimazione del nazionalismo anti-solidale, mero riflesso dell’homo oeconomicus traslato sul piano dello Stato; forma che, dietro la finta opposizione, non fa in realtà che confermare l’ordine capitalistico, riproponendone la forma imperialistica e, insieme, annullando la possibilità del vero internazionalismo come sola forma di opposizione autentica ed efficace al capitalismo in ogni sua declinazione (sia globalista, sia nazionalista).

Tali forme di nazionalismo capitalistico debbono essere avversate con eguale forza rispetto al mondialismo capitalistico, del quale sono la variante falsamente oppositiva che ne riconferma sempre di nuovo la struttura. Il vero internazionalismo non è se non la forma del comunitarismo pensato a livello del rapporto interstatale: è il rapporto solidale tra Stati sovrani nazionali, ciascuno dei quali, senza rinunziare alla propria autonomia e senza chiudersi individualisticamente in se stesso, si relaziona con gli altri non già in chiave nazional-imperialistica, bensì comunitaria e pacifica, ravvisando in essi altre e diverse esperienze nazionali fondate su storie e tradizioni non coincidenti con le proprie.

Si potrà solo allora realizzare quel comunitarismo cosmopolitico che, nella forma di un universalismo delle differenze, renderà possibile la coesistenza della pluralità e dell’unità, delle culture eterogenee e del genere umano unitario strutturato orizzontalmente secondo rapporti comunitari e democratici tra individui liberi e uguali. Alla cattiva universalità della globalizzazione si potrà sostituire l’autentico universalismo di un cosmopolitismo delle comunità, delle culture e dei popoli egualmente liberi nelle loro differenze.

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Sono nato a Torino nel 1983 e insegno Storia della filosofia in Università. Mi considero allievo indipendente di Hegel e di Marx. Intellettuale dissidente e non allineato, sono al di là di destra e sinistra, convinto che occorra continuare nella lotta politica e culturale che fu di Marx e di Gramsci, in nome dell’emancipazione umana e dei diritti sociali. Resto convinto che, in ogni ambito, la via regia consista nel pensare con la propria testa, senza curarsi dell’opinione pubblica e del coro virtuoso del politicamente corretto.
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