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“Vado a farmi un giro, porto il cane”, l’ultimo messaggio del 19enne ucciso dal cacciatore

Il racconto del padre di Nathan Labolani, il giovane di Apricale ucciso per errore da un cacciatore che lo aveva scambiato per un cinghiale nella mattinata di domenica scorsa: “Nathan non è mai andato a caccia. Mio figlio era abituato ad andare per boschi ma raccoglieva funghi. Voglio la verità”
A cura di Antonio Palma
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“Esco, vado a farmi un giro. Porto Mascia, ci sentiamo più tardi", è l'ultimo messaggio del 19enne Nathan Labolani, il giovane di Apricale, in provincia di Imperia, ucciso per errore da un cacciatore che lo aveva scambiato per un cinghiale nella mattinata di domenica scorsa. A raccontarlo è il padre Enea, coltivatore nella zona di Pian del Soglio, ora disperato per aver perso in maniera così assurda il figlio. Nathan amava passeggiare per quei boschi vicino casa sua, ha raccontato il genitore ala quotidiano Il Secolo XIX,  spesso portando con sé i suoi due cani. Così avrebbe fatto anche domenica mattina quando intorno alle sei era uscito di casa avvertendo il padre. Per Enea infatti quel fucile ritrovato dagli inquirenti vicino al 19enne non può essere di Nathan che non andava a caccia ma amava frequentare i boschi per raccogliere funghi. "Nathan non è mai andato a caccia. Gli piaceva passeggiare lungo il torrente. Io certamente non sapevo che mio figlio detenesse un'arma, ma ciò non cambia la realtà dei fatti ovvero che è stato ucciso un ragazzo con la vita ancora tutta davanti. Anche se mio figlio avesse avuto un fucile, nulla giustifica la sua morte. Avrebbe potuto avere un bazooka o una canna da pesca, ma nulla cambierà quello che è successo" ha aggiunto l'uomo. 

"Quando gli hanno sparato i cacciatori non erano ancora operativi. Nessuno di loro è venuto a porgermi le condoglianze" ha accusato l'uomo, che ha scoperto in prima persona la tragedia. "Sapevo che era accaduto qualcosa, c'erano vigili del fuoco e carabinieri, mi sono diretto in auto verso Isolabona, ma ad un certo punto ho visto un cacciatore che conoscevo che mi ha detto: ‘hanno sparato ad un ragazzo'. Ho capito che era mio figlio" ha rivelato Enea . La certezza è arrivata dopo aver tentato più volte di chiamare il figlio al telefono "fino a quando ho sentito la sua voce: ‘Papà, ti prego aiutami, mi hanno sparato. Sto male'". "La battuta di caccia non era ancora aperta. Non c’erano cartelli di avviso. Non esiste una zona fissa per i cacciatori, si spostano ovunque. Mio figlio era abituato ad andare per boschi, raccoglieva funghi". ha aggiunto l'uomo che ora chiede giustizia: "Non mi resta altro nella vita. Voglio trasparenza. Nathan non potrà più raccontare la sua versione dei fatti e io voglio la verità".

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